Il principe T’Su (Where Lights Are Low) – Colin Campbell (1921)

Where_Lights_Are_Low_(1921)_-_2Sapevate che uno degli attori più pagati ad Hollywood verso la fine degli anni ’10 fosse…Giapponese? La cosa bella dei festival è che ti permettono di conoscere cose nuove, a volte magari arcinote ai più ma che per qualche motivo non avevi scoperto o in cui non ti eri imbattuto. Magari il nome di Sessue Hayakawa sarà per voi un must, ma io lo conoscevo per il suo ruolo ne Il ponte sul fiume Kwai (1957) ignorando totalmente la sua sfolgorante carriera nel cinema muto. In quegli anni non si limitò alla carriera di attore ma, pur venendo dal Giappone, divenne addirittura imprenditore creando una sua casa di produzione, la Haworth Pictures Corporation, che sfornò film dal 1918 al 1922 quando lasciò gli Stati Uniti a causa, secondo la vulgata, di un rapido sviluppo dei sentimenti anti-nipponici negli Stati Uniti. Quello che è certo è che Sessue Hayakawa era considerato un vero e proprio sex symbol, con tantissimi fan al suo seguito. Questo nonostante uno stile recitativo diverso da quello classico che contrapponeva alla gestualità più o meno esasperata tipica occidentale, una centellinata che lasciava perlopiù al volto e alle espressioni facciali il compito di esprimere i sentimenti.

Where Lights Are Low rientra tra i film della Haworth (a volte indicata come la Hayakawa Pictures Co.), ha la regia di Colin Campbell e si basa su East Is East di Lloyd Osborne pubblicato appena un anno prima della sua trasposizione. Gran parte del cast è giapponese. Spesso, infatti, in occidente non si faceva particolare caso alla vera nazionalità del cast e si uniformavano in maniera stereotipata gli orientali come tali.

Il Principe T’Su Wong Shih (Sessue Hayakawa) non vuole seguire i dettami dati dalla sua posizione e vuole sposare Quan Yin (Gloria Payton), la figlia del giardiniere di famiglia. Lo zio si oppone ferocemente e arriva a far rapire la ragazza per farla vendere al mercato nero. Per una serie di incredibili coincidenze, infatti, T’su sta studiando negli Stati Uniti e capita nella China Town locale proprio quando stanno battendo all’asta la ragazza. Su di lei ha messo gli occhi il malvagio Chang Bong Lo (Togo Yamamoto) ma T’su offre più soldi. Quando T’su chiede allo zio di avere il denaro per riscattare la ragazza che ama, questi si rifiuta. Il giovane non si lascia demoralizzare e si mette d’accordo con il banditore (Goro Kino) per saldare in tre anni la somma che avevano concordato. Dopo anni di duro lavoro e vincendo una lotteria, T’su si appresta a riscattare la sua amata ma ecco l’imprevisto: Chang minaccia il banditore di ucciderlo se darà la ragazza al principe e se la fa consegnare. Inizia una lotta forsennata tra i due che termina con l’arrivo della polizia, chiamata da Spud (Jay Eaton), un amico americano di T’su. I due contendenti fuggono e il malvivente sfugge alla cattura. Nonostante la fuga di Chang, T’su e Quan Yin sono finalmente riuniti e decidono di ripartire per la Cina dopo essersi sposati preventivamente. Ma ecco ricomparire Chang Bong Lo che, a pochi secondi dalla partenza, tenta di uccidere T’su il quale si difende e gli toglie la vita. I due innamorati possono ora salpare tranquilli…

Partiamo dal finale: grazie ad una didascalia ben scritta e un’ottima costruzione della scena per un attimo sembra che incredibilmente sia stato T’su a morire: “Chang si è comunque imbattuto nel suo uomo. La sua mano morta sbuca dalla cabina telefonica”. Ma sua di chi? Solo dopo scopriamo che, ovviamente, è stato Chang a morire e non il principe. Eppure lo stupore genuino di Spud e il fatto che venga mostrata solo la mano mi hanno lasciato per un attimo nel dubbio. In generale la prima parte è stata un po’ deboluccia ma il film si è ripreso nella seconda metà quando ha la storia è andata definendosi con relativa originalità. Forse la parte più bella riguarda il momento in cui il migliore amico di T’su (non saprei se viene citato il suo nomel’ho trovato citato col suo nome) decide di andare a provare ad uccidere Chang. Una volta giunto nella casa del malvivente, complice l’ombra traditrice, viene scoperto e ucciso. Non contento, Chang invia al suo nemico una cesta, con dentro un coltello imbrattato del sangue del ragazzo ucciso a compare la frase “ora tocca a te”. A recapitare l’indesiderato regalo è una vecchina veramente inquietante che sembra uscita da un film horror espressionista. Nota dolentissima il combattimento in simil judo (parlo da ingornate in materia) che ha problemi di montaggio con scene ripetute e tagli discutibili. Inoltre la scelta di basare la lotta su prese e tentativi di ribaltamenti rende la sfida veramente lenta e poco esaltante.

Come detto non conoscevo questo lato asiatico della cinematografia americana e sono rimasto piacevolmente colpito dal film, in particolare a partire dalla seconda metà dello stesso. Ci sono delle criticità varie e permane comunque, nonostante la produzione di Hayakawa, una sorta di stereotipia di fondo. L’idea che i cinesi rapissero le donne e i bambini era una maldicenza piuttosto diffusa all’epoca e ricordo che lo script è comunque basato su un romanzo statunitense. Abbiamo del resto più volte recensito film sulla China Town locale ed era quasi sempre rappresentata come un posto pieno di ladri e gente di malaffare. Anche Where Lights Are Low non scampa a questo preconcetto ma allo stesso tempo riesce a presentare un protagonista asiatico credibili e lontano dagli stereotipi.

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