Manon Billaut e il cinema sperimentale di André Antoine

andreantoineQuando André Antoine muore nel 1943 la sua produzione cinematografica non viene praticamente menzionata ma viene ricordata più che altro la sua produzione teatrale e di critico. Ma perché questa dimenticanza e che valore aveva il cinema di Antoine? In André Antoine au cinéma: une méthode expérimentale, Manon Billaut cerca di portare alla luce il lavoro di sperimentazione che ha fatto partendo dall’idea di riprendere una realtà oggettiva e non idealizzata in opposizione al “cinema di sensazioni”. Si tratta quindi di un tentativo di far arrivare le idee positiviste e naturaliste (che in Italia erano sfociate poi nel verismo) all’interno del medium cinematografico. Per la sua produzione Antoine sembra inizialmente prendere spunto da Le Mystère des roches de Kador di Léonce Perret(1912) dove, e qui parafraso la Billaut, ritroviamo una cornice in cui il regista fa recitare gli attori con lo scopo di far affiorare una verità che è sottostante al reale osservato. Il cinema diventa quindi uno strumento sensoriale che supera l’occhio umano. Nel film di Perret ritroviamo anche l’uso dei flashback, che Antoine userà molto nelle sue prime produzioni allo scopo di creare delle stratificazioni temporali all’interno della narrazione. Nel suo “Propos sur le cinématographe” del 1919 Antoine sembra definire il perché abbia scelto di passare al cinema: questo è infatti “creazione vivente” mentre il teatro è “imitazione di natura”. Come potrete intuire da quanto letto fino ad ora, l’approccio del regista nel cinema è molto documentarista e il reale e la finzione si mescolano con gli attori che vengono mescolati agli autoctoni durante le scene girate per lo più in loco. Anche la scelta degli oggetti di scena è improntata sulla ricerca di cose quotidiane in cui tutti possono identificarsi.

Manon Billaut parla di “metodo sperimentale” per Antoine e questo è un metodo molto stratificato e per certi versi fissato in alcune fasi specifiche che nel libro vengono analizzate nel dettaglio capitolo dopo capitolo. Antoine parte dalla osservazione di un ambiente per poi passare alla scrittura, al girato, alla direzione degli attori arrivando infine all’esposizione di quanto prodotto.

1. La fase di osservazione rappresenta in realtà un momento di studio per rendere vero quanto sta per essere raccontato. Nel libro si porta, tra gli altri, l’esempio di L’Arlésienne (1922) dove per fare i vestiti tipici Antoine dovrà andare direttamente a Parigi e farli fare sulla base di documenti d’epoca. Questa componente di realismo si trova anche nella ricerca dei dettagli come quelli degli “attributi tipici” che servono ad identificare, anche a livello sociale, i vari personaggi. Per esempio la pipa di Mess Lethierry in Les Travailleurs dela mer o il cappello di Pierre Van Groot in l’Hirondelle et la Mésange. Questa fase di studio era una fase mista in cui il regista leggeva saggi, articoli ma andava anche di persona nei luoghi di cui doveva parlare con un approccio che mi sento di definire antropologico.

2. Proprio mentre si trovava in loco iniziava la seconda fase, quella di scrittura, in cui comunque non c’era, come si è creduto, una forte componente di improvvisazione. Nella BnF (Bibliotèque nationale de France) sono conservati alcuni manoscritti o dattiloscritti di sceneggiature, a volte in versioni primitive o non definitive, documenti molto interessanti per valutare questa fase del lavoro di Antoine. Nelle memorie dell’operatore Pierre Trimbach, riporta la Billaut, sappiamo che Antoine era solito, una volta ricevuta dalla produzione l’approvazione del copione, leggerlo davanti alla troupe e agli attori e poi distribuirlo a tutti in modo tale che potessero affrontare in maniera informata le riprese. Se siete interessati potete ovviamente approfondire meglio questa parte leggendo il libro in cui sono presenti anche fotografie ed esempi specifici dei vari documenti presenti nel fondo Antoine. Tra questi sono davvero interessanti, e splendidamente documentati, i decoupage e i disegni dell’autore relativi ai diversi film. Antoine gira praticamente sempre adattamenti da testi già pubblicati ed è anche interessante notare la grande cura nel cercare di restare attinente all’originale anche nello scegliere i costumi e gli attori.

3. Terminato il momento dedicato alla scrittura e rifinitura della sceneggiatura, Antoine si dedicava dunque a girare le scene. Escluso il caso particolare di Les Frères corses (1915) dove, per motivi legati al conflitto mondiale, non poté andare a girare, come intuirete il regista si premurava di poter fare le riprese nei luoghi dove le vicende erano ambientate. Il suo metodo sperimentale si fonda inoltre sulla necessità di uscire il più possibile dagli studi di registrazione perché, a suo modo di vedere, solo così i personaggi potevano prendere vita e diventare a tutto tondo contro il piattume bidimensionale figlio di un’impostazione teatrale in cui la macchina da presa sostituiva, all’interno delle quattro mura, gli spettatori in sala. Il problema di un’impostazione del genere era che gli studi, essendo al coperto e potendo vantare luci e mezzi adeguati, erano ben meno costosi e rischiosi rispetto alle riprese all’aperto che dipendevano dai capricci meteorologici che potevano rovinare il girato o portare a sospendere le riprese. L’attenzione di Antoine mentre gira è quello di catturare tutto il contesto nella sua realtà oggettiva tra paesaggi circostanti, momenti di festa e di vita quotidiana. Abel Gance criticherà aspramente Antoine sostenendo che questa estenuante ricerca del vero, anche nelle sue imperfezioni, rischia di portare a prodotti cinematografici di cattiva qualità. La realtà, per Gance, deve subire una trasposizione quando viene catturata dalla macchina da presa. Jean Douchet dice che Antoine non cercava di “dare vita al dramma” ma “dramma alla vita” e questo appare evidente in alcune produzioni dove la componente documentaristica è quasi superiore a quella narrativa come il travagliato L’Hirondelle et la Mésange (1920).

4.Il capitolo quinto del libro della Billaut è dedicato alla direzione degli attori da parte di Antoine. Secondo quanto detto dallo stesso regista durante una conferenza dal titolo “L’Art du comédien moderne” nel 1924, il regista deve essere una guida che riporta a troupe verso il giusto cammino, un cammino che ha come meta l’essere specchio della natura e mostrare la verità. Antoine era stato un attore di teatro e questo gli permette di dare indicazioni agli attori mimando e riproducendo, usando molto il corpo, quanto voleva fosse messo in scena. Questa caratteristica era nota tanto che venne ripresa dall’imitatore Vernaud. Oltre alle testimonianze indirette, grazie alle 5 ore di “scarti” del girato di L’Hirondelle et la Mésange abbiamo delle comparsate di Antoine in scena che interviene per dare indicazioni. La Billaut dedica anche uno spazio ad analizzare la differenza tra il metodo Stanislavski, che ricerca la verità nell’interiorità, e quello di Antoine in cui è il rigore scientifico che porta a far nascere la verità. A livello di considerazione degli attori e dei membri della troupe Antoine asserisce di odiare un sistema classista che pone presunte star in cima per un sistema più egualitario tra uomini e donne con tanto di salari sostanzialmente uguali. Lo scopo è ance quello di fare gruppo costruendo il lavoro intorno a attori ricorrenti come nelle compagnie teatrali. Questo viene però reso difficile dal sistema di reclutamento degli attori che erano legati alle case di produzione (e non al regista) e spesso erano impegnati in più produzioni contemporaneamente, cosa che mal si sposava con i tempi e le modalità con cui Antoine girava i film. Oltre agli attori veri, di cui il regista auspicava una maggiore specializzazione con creazione di accademie di recitazione cinematografica, Antoine faceva molto affidamento agli autoctoni nelle sue riprese. Essi fornivano un elemento essenziale per raggiungere quel realismo a cui aspirava. L’analisi riguardo questa componente è molto approfondita nel volume e vi invito ad approfondirla qualora siate interessati.

Termino dunque questa sorta di recensione al mastodontico lavoro di ricerca effettuato dalla Billaut e racchiuso nel volume pubblicato dalla Mimésis cercando di rispondere alla domanda iniziale: perché la produzione cinematografica di Antoine è stata dimenticata nonostante il grande apporto che ha dato al cinema e alla teoria cinematografica? Giusto per esplicitarne ulteriormente l’importanza Prédal, nel 1972, scriveva che Antoine aveva realizzato il primo “documento” su Parigi (le Coupable), il primo “film paesano” (la terre) e il primo “saggio” sul cinema regionale (l’Arlésienne) ed era dunque rappresentante essenziale per la crescita del cinema in Francia. Il dibattito con Gance che abbiamo citato, e che è in realtà affiancato a quello con altri grandi autori e teorici del cinema, mostra quanto Antoine sembri essere vittima di un modo di fare cinema che forse non rispecchiava pienamente i gusti dei produttori (un litigio con Pierre Decourcelle sarà causa del suo allontamento dal cinema) e e neanche dei teorici dell’epoca. Philippe Esnault, nella sezione dedicata ad Antoine per le Giornate di Pordenone del 2005, scriveva che il problema di Antoine fu soprattutto quello di iniziare tardi con il cinema e ritrovarsi poi schiacciato dai giovani e moderni autori sperimentali come Gance, appunto, ma anche Dulac, Epstein, L’Herbier e tanti altri. Per fortuna, però, grazie al lavoro di tanti studiosi, tra cui la stessa Billaut, il lavoro di André Antoine è stato riscoperto e il suo contributo alla storia del cinema piano piano rimesso alla luce.

Questo articolo è un misto tra una recensione e una presentazione del progetto che verrà avviato sul sito e che porterò tutti i film superstiti di Antoine ad essere analizzati.

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