El negro que tenía el alma blanca – Benito Perojo (1927)

negro_alma_blancaCome intuirete dal titolo, parlare di El negro que tenía el alma blanca è estremamente complesso perché parla di una tematica delicata nel 1927 cercando forse di superare alcuni pregiudizi e problematiche sociali senza però, visto con gli occhi di oggi, riuscirci troppo. Partiamo da un presupposto: il termine “negro” in spagnolo non equivale allo spregiativo termine analogo italiano ma è interessante notare che nella versione francese, credo l’unica superstite ed editata dalla Lobster, si utilizzava comunque il corrispettivo spregiativo. Al di là del titolo e della tematica il film è però una piccola perla a livello realizzativo. Grazie a una fotografia splendida e agli effetti a cura del solito Segundo de Chomón, quello che appare su schermo è di una grazia e cura assolutamente stupefacenti. Il film rappresenta anche il trampolino di lancio per l’attrice e cantante Concha Piquer (o Conchita) una delle più grandi interpreti della copla spagnola. Andiamo con ordine, come al solito e partiamo dalla trama:

Il grande ballerino Peter Wald (Raymond de Sarka) è giunto finalmente in città e per Emma (Concha Piquer) è l’occasione per poter tentare di dare sfoggio delle sue capacità nel ballo e provare a sfondare. C’è solo un piccolo problema: il colore della pelle di Peter che creano nella giovane un terrore insuperabile. Spinta dal padre Don Mucio Cortadell (Joaquín Carrasco) e dal desiderio di uscire dalla povertà, la giovane riesce in qualche modo a superare questo scoglio e ballare con il ragazzo. Ma un nuovo ostacolo si presenterà presto: Peter si innamora infatti di Emma che, nonostante la riconoscenza, non riesce a ricambiare il sentimento sempre per quella repulsione legata al colore della pelle del ragazzo. Il ballerino, sconsolato, si lascia dunque andare alla malattia e muore di tisi riuscendo, in letto di morte, a strappare finalmente ad ottenere un bacio dalla donna che ama.

Tutta la mia perplessità che ho condiviso all’inizio è data dalle ultimissime didascalie dove Emma dice: “è un crimine civilizzare i neri, di dar loro una mentalità da bianchi fino a che non esisterà un metodo per sbiancargli la pelle!” e continua “mio caro Peter, ti prometto che quando sarai guarito di sposerò! L’ostacolo non esiste più…ti amo perché la tua anima è bianca come la neve!“. Insomma parrebbe che il nostro Peter sia un nero diverso dagli altri, per certi versi, e non rappresenti un esempio collettivo. Questo ovviamente è però il pensiero di una ragazza che accostava il colore della pelle a un demone o una persona legata a un contesto ancestrale e tribale con chiari connotati negativi. Suo padre Don Mucio parrebbe invece molto più aperto e sgrida la figlia bonariamente quando lei è terrorizzata nel vedere il giovane apparire dandole della stupida perché un nero non è diverso da un bianco, se non per il colore della pelle. Nonostante questo Emma non riesce proprio a stare accanto all’uomo che farà la sua fortuna e prima balla con lui dietro una sorta di ricatto morale del padre e la certezza che non sarà toccata direttamente da Peter se non tramite guanti, e poi perde letteralmente i sensi quando lui la bacerà pensando che sia sincera nell’accettare la sua proposta di matrimonio.

L’amore tra i due, nonostante le parole, non può compiersi ed è per questo che era chiaro fin dall’inizio che uno dei due personaggi sarebbe dovuto morire. Indovinate chi sarà a fare una brutta fine? Lo avete letto, è proprio Peter che si ammala di tisi e scompare lasciando la giovane a piangere lacrime di coccodrillo e lo spettatore moderno un po’ contrito per un messaggio riuscito a metà. Dal titolo e dalla chiusa sembra quasi che lui sia speciale ma solo perché, appunto ha l’anima bianca. Chissà che Boris Vian non avesse in mente questo film quando scrisse libri come Sputerò sulle vostre tombe (fr. J’irai cracher sur vos tombes – 1946) che parla, invece, di un afroamericano con la pelle bianca che decide di vendicarsi dei bianchi che hanno ucciso il fratello nero.

Passiamo all’analisi di alcune scene davvero degne di nota e che troverete nelle solite gif:

La prima riguarda sicuramente l’incubo di Emma che parte da un manifesto con il classico “uomo nero” il cui volto circolare si trasforma in una deformazione di quella di Peter. Il sogno continua perché da questo volto deformato fuoriesce una incredibile caverna a forma di scimmia (con il classico e svilente accostamento razzista uomo nero=Africa=scimmie) da cui si lancia un uomo che arriva nel “mondo reale” dove la ragazza sta dormendo. La giovane, nel sogno, si sveglia e tutto quello che è onirico viene rappresentante attraverso la tecnica dell’esposizione multipla. Tutto terminerà con il risveglio dall’incubo e il soccorso del padre che si chiede cosa sia successo.

Altra scena molto carina e ottimamente realizzata è quella in cui il padre di Emma, ubriaco, si rivede in povertà con la figlia riflesso in una bottiglia di champagne. L’ottima realizzazione da parte di de Chomón permette all’immagine riflessa di avere una graziosa profondità. A proposito di cose graziose sono davvero splendidi gli inserti pubblicitari per gli spettacoli del protagonista inseriti all’interno del film. Il più carino è sicuramente quello sulla spiaggia di cui vi lascio una gif.

Questo ci permette di parlare in generale delle coreografie che sono curatissime così come i balli. Come in Sur un air de Charleston di Jean Renoir (1927), anche qui troviamo la mitica danza eseguita prima a velocità normale e poi a rallentatore. Questo espediente ha per me sempre un certo fascino!

Riassumere in poche righe la qualità di questo film a livello visivo è davvero impossibile ma è un film che, con tutti i suoi difetti e la sua rivoluzione inclusiva riuscita a metà, merita a mio avviso di essere visto. Se siete interessati è stato editato sotto il titolo francese Le danseur de Jazz dalla Lobster.

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