Blednoucí romance: un film per salvare il passato

Příběh jednoho dneAbbiamo già avuto modo di affrontare un pezzetto di Blednoucí romance (1958) quando aprimmo il progetto dedicato al cinema muto ceco e slovacco con Canto di vita (Píseň života) del 1924. Giusto per capire l’importanza di questa pellicola bisogna pensare a un contesto post bellico in cui molti film erano andati distrutti durante la guerra e di cui ne rimanevano magari solo alcuni frammenti da copie alternative. Il regista di questi tre film, Miroslav Josef Krňanský, decide allora di mettersi al lavoro e provare a salvare il salvabile creando un nuovo film in tre parti in cui vi fosse quando possibile dei tre film in una versione condensata di circa 20/30 minuti massimo. Bisogna dire che il risultato è qualcosa di davvero eccezionale considerato il materiale di partenza e tutte e tre le storie sono interessanti. Se, come detto, abbiamo già parlato del primo episodio oggi ci soffermeremo sugli altri due con la speranza di avervi incuriositi e che abbiate voglia di recuperare il tutto.

– Storia di un giorno (Příběh jednoho dne) – Miroslav J. Krňanský (1926)

Julča (Mary Jansová) vive con in una casa popolare insieme alla mamma, la Signora Břežanská (Antonie Nedošinská), che ormai ammalata e senza marito sogna di vederla sposata. Nonostante il suo capo le faccia delle avance e potrebbe farla uscire dalla situazione in cui si trova, la giovane le rifiuta cercando il grande amore. Questo sembra arrivare quando il giovane Fráňa Kratina (Lexa Jarošín) inizia a farle la corte. I due sono innamorati eppure Fráňa mostra sempre più disagio per le condizioni in cui vive la sua amata. Un giorno i due litigano e lei decide di lasciarlo. Fortunatamente Fráňa si ravvedrà e si scuserà per il suo comportamento. Non molto tempo dopo i due giovani convoleranno a nozze…

In questo film è molto interessante vedere come viene trattato il confronto tra classi sociali. Da una parte abbiamo Julča che vive in un quartiere popolare, ben caratterizzato dalla presenza fissa di comari, e con una mamma malata a cui badare, dall’altra il giovane Fráňa che tradisce invece l’appartenenza a un ambiente più borghese. Può l’amore superare questa barriera? Se Píseň života terminava tragicamente, qui abbiamo uno stemperamento con un finale positivo. Probabilmente il momento di rottura tra i due nella versione originale era più lungo e complesso mentre qui si esaurisce veramente in pochi minuti, però è comunque un film godibile e ben riuscito. Menzione d’onore alla povera madre che riesce a trasmettere una tenerezza infinita.

La fotografia è molto curata e si sofferma molto sui volti dei vari personaggi o su piccoli particolari considerati importanti dal regista. Molto carino l’inizio con alcune scene viste con gli occhi di un personaggio ubriaco che vede cose assurde oppure doppio.

– La palude di Praga (Bahno Prahy) – Miroslav J. Krňanský (1927)

Alla Capanna Velonosa si fermano vari reietti e dimenticati della società. Tra questi Václav Tatar (Joe Jenčík) che tra una bevuta e l’altra inizia una relazione con Lenka (Bronislava Livia), la figlia del Signor Rákosník, padrone della locanda. Il fratello di lei, Petr (L. H. Struna), è però un malvivente e un giorno deruba Václav facendogli un agguato. Una sera, sotto gli occhi del padre contadino (Karel Schleichert) venutolo a cercare, scatta una rissa e Petr finisce ucciso. Václav viene portato in carcere ma ne esce presto capendo quanto sia importante per lui Lenka.

Anche qui il film è ben riuscito nella sua brevità anche se, forse più degli altri, soffre in alcuni frangenti del fatto che si tratta di una copia mutila. Alcuni avvicendamenti non sono propriamente chiari, però resta il fatto che la bettola della “capanna avvelenata”, tra prostitute e alcolisti, è davvero ben caratterizzata senza che l’elemento “apache” venga a disturbare troppo lo spettatore. Spicca tra tutte la “Carmen” ragazza che vende il proprio corpo agli avventori agghindata come il celebre personaggio. Il film è molto esplicito ma comunque mantiene una sua garbatezza ed ha momenti anche di violenza estrema. Anche qui si nota una fotografia molto curata a fronte, come in tutti e tre i capitoli del resto, di una scenografia, invece, estremamente minimale.

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