Chi non si è mai emozionato ascoltando Rhapsody in Blue di George Gershwin? Un giovane Robert Florey, francese con la passione del cinema trasferitosi in America, ascoltando questa splendida composizione ebbe l’idea per uno dei corti più celebri del cinema mondiale. Nel 1921, appena arrivato nel Nuovo Mondo, Florey era subito entrato nel mondo del cinema lavorando per Fairbanks come curatore della sua immagine per l’Europa. Iniziò inoltre a fare le prime esperienze come assistente alla regia per registi di poco conto, fino ad arrivare, poi, alla realizzazione di numerosi film, in particolare horror, tra cui possiamo ricordare “Murders in the Rue Morgue” (1932) con Bela Lugosi. Vorkapich, nato nella ex-Jugoslavia e trasferitosi negli Stati Uniti dopo la Prima Guerra Mondiale, viene ricordato principalmente per i suoi lavori di montaggio. Come nasce quindi il nostro cortometraggio? Partendo dall’ascolto della Rapsodia in Blu, Florey scrisse una sceneggiatura, in cui le vicende del protagonista dovevano sincronizzarsi con la musica e il montaggio doveva adattarsi ai tempi e al ritmo della musica stessa. Il titolo originale doveva essere “The Suicide of a Hollywood Extra“, poi modificato in quello che tutti conosciamo. Vorkapich, unendo gli influssi espressionistici tedeschi e quelli artistici russi, diede vita assieme a Florey ad un film assolutamente innovativo e sperimentale, che potremmo quasi definire espressionista. Il costo di realizzazione fu estremamente basso costo: appena 97 dollari (oggi sarebbero 1190 dollari circa, più o meno 880 euro). Per realizzare le scenografie vennero utilizzati materiali di fortuna che oggi farebbero sorridere, ma il risultato è davvero eccezionale.
Un ragazzo (Jules Raucourt) sogna la vita della star di Hollywood e firma così un contratto come attore. Una volta apposta la firma, però, perde la sua identità per diventare 9413, numero che gli viene scritto sulla fronte. Nel mondo del cinema entra in contatto con diversi attori che come lui sono contrassegnati da un semplice numero. Tra questi ci sono la bella 13 e 15, che scalza presto 9413 nell’olimpo hollywoodiano con un’ascesa esponenziale rispetto all’insuccesso del povero protagonista. Persa la fama, l’identità e il denaro, 9413 morirà nella solitudine intraprendendo il viaggio verso il paradiso. Solo qui, grazie all’azione di un angelo che rimuove il suo numero, il protagonista riacquisterà la sua vera identità.
Il destino del povero 9413 ricorda da vicino quello di tanti idoli del cinema poi dimenticati, ma in particolare quello del povero John Gilbert, morto a soli 36 anni dopo che la crisi e una voce poco adatta al sonoro gli stroncarono di fatto finanze e carriera. L’idea del numero, che ruba l’identità del singolo, oltre a ricordarci eventi traumatici come quelli legati ai campi di sterminio nazisti (che all’epoca non erano ancora lontanamente immaginabili), è un elemento che tornerà in alcune opere anglofone. In particolare mi riferisco alla celebre serie britannica The Prisoner, di e con Patrick McGoohan, dove il protagonista perde la sua identità per diventare Numero 6. Il cortometraggio fu un vero successo, tanto da catturare l’attenzione di Charlie Chaplin che volle trasmetterlo in casa sua. Per maggiori informazioni su questioni tecniche vi invito a leggere questa interessante recensione su mymovies.it. Io vi lascio lasciandovi una delle tante versioni del film, con una colonna sonora realizzata nel 2005. Buona visione!
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