Il genere Slapstick è indissolubilmente collegato all’epoca del cinema muto. Grazie alle commedie di Mack Sennett e ai primi lavori di Charlie Chaplin, per i quali è principalmente noto, esso può sembrare a prima vista un frutto dell’ambiente cinematografico statunitense. Al contrario la slapstick comedy ha una matrice ben più complessa, fatta di più rimbalzi tra il vecchio continente europeo e il fiorente mondo anglosassone.
Anch’essa, come innumerevoli altre storie di arte e spettacolo, affonda le sue radici in Italia e più precisamente nella Commedia d’arte italiana, traendone la mimica, la grossolanità, i caratteri fisiognomici e costanti, le trame ridotte all’osso, più simili a situazioni proverbiali che a narrazioni vere e proprie. Inizialmente fu tradotta in termini cinematografici in Francia, grazie all’abbondante e multiforme lavoro della Pathé, da personaggi quali Cretinetti, Polidor e Robinet, nomi d’arte rispettivamente di André Deed, Ferdinand Guillaume e Marcel Fabre. Ciò che poi troverà sviluppo e maturità negli Stati Uniti, in Europa è ancora un abbozzo dai ritmi incerti e fiaccamente strutturato, privo innanzitutto di quelle capacità registiche qui maggiormente investite sui film d’arte e altri generi più “alti”. Non che non vi siano opere godibili e interessanti – che non mancheremo di affrontare prima o poi! – ma uno spettatore odierno avverte, di certo, una certa distanza dai modelli sennettiani con cui il genere ormai si identifica e su cui il giudizio si è inevitabilmente “allenato”.
Quello di Nikos Sfakianakis, attore e sceneggiatore greco, è un passo ulteriore e in controtendenza. Il suo personaggio, Villar, riporta lo slapstick in Europa con una serie di cortometraggi che inseriscono un personaggio che guarda ai modelli francesi in un contesto ripreso pedissequamente dalla Keystone e trasferito sotto il Partenone. In Le avventure di Villar (Οι περιπέτειες του Βιλλάρ, 1924) Sfakianakis interpreta un personaggio presentato canonicamente: a spasso per la città come se fosse al di fuori dagli orologi e dai ritmi di chi lavora, sorriso stampato sul viso, abiti chapliniani, quindi pantaloni larghi e cadenti, bastone e bombetta, un fiore all’occhiello e una donna da corteggiare. Villar è impiegato in una stireria, ma le troppe distrazioni femminili gli fanno commettere un errore dopo l’altro: prima arriva tardi a lavoro, poi dimentica il ferro sulla biancheria che si scotta irrimediabilmente. Il suo capo, con parrucca e baffi finti e il solito trucco arcigno e severo dei cattivi o dei poliziotti da slapstick, si vendica su di lui facendolo sedere sullo strumento utilizzato per scaldare i ferri da stiro e Villar, col sedere in fiamme, scappa travolgendo ogni cosa che incontra, alla ricerca di un fresco sollievo.
I tentativi di ripetere o richiamare film e gag statunitensi sono goffi e malriusciti, ma qui e lì ci sono particolari che fanno di Le avventure di Villar un film interessantissimo. Innanzitutto bisogna dire che si tratta del più vecchio film prodotto in Grecia conservato integralmente, l’unica tra le commedie di Villar arrivate fino a noi e il primo restauro, cominciato nel 1972 e terminato nel 1991, ad opera del Greek Film Archive. Le corse e il vagare di Villar per le strade di Atene ci offrono un documento rarissimo della vita nella capitale greca a metà degli anni venti: i venditori ambulanti, i negozianti, gli uomini che vanno a lavoro e i passanti reali che salutano alla cinepresa danno l’idea di un cinema di strada, non del tutto preparato e controllato, aperto agli avvenimenti e all’improvvisazione.
Quest’idea di approssimazione efficace offre guizzi che altrove sarebbero errori: una collega di Villar si soffia il naso come se ci dovesse ancora essere il ciack e una cliente del negozio va a finire in una tinozza piena d’acqua e in seguito al volto allarmato l’attrice guarda oltre la cinepresa in cerca di approvazione per la scena appena girata. Resta il dubbio se siano “errori” del montato originale o “errori” lasciati per scelta nel processo di restauro su sequenze non montate.
Grande spazio viene poi dato ad una scena in un locale in cui Villar porta la sua ultima conquista, durante la scelta del cibo Villar ruba un pesce e lo infila in tasca ed è uno dei pochissimi primi piani utilizzati, una didascalia spiega che il furto è giustificato perché destinato alla “povera Zaza” di cui non sappiamo altro, forse un personaggio delle altre commedie con Villar? E quest’aspetto così umano e sociale, non riscontrabile altrove nel film, se fosse stato una caratteristica del personaggio di Sfakianakis gli accrediterebbe un’originalità non da poco. Il sospetto si fa ancora più intrigante se valutiamo che buona parte del secondo e ultimo rullo del film è occupata da una scena di genere particolarissima.
Sotto le antiche e maestose rovine greche viene allestito un banchetto per un variegato insieme di coppie di novelli sposi che sembrano usciti da Freaks!, nani, gemelle, personaggi circensi e stravaganti, più un ospite, apparentemente un banditore, visibilmente ubriaco. Tutti insieme aggrediscono la tavolata, condividono un cosciotto di maiale un morso ciascuno, bevono, ridono e più mangiano più appaiono insoddisfatti. Tra le portate ci sono degli spaghetti doppi, serviti in un unico piatto, e la foga con la quale i commensali pescano con le mani cercando di accaparrarsi la porzione maggiore non può non ricordarci il Totò di Miseria e Nobiltà (1954) con cui sarebbe azzardato ma anche affascinante ipotizzare una comune paternità, magari a partire da qualche gag dell’avanspettacolo del primo ‘900 passata di compagnia in compagnia. L’unica relazione tra la tavolata e Villar è annunciata da una didascalia “Il fulmine” dopo la quale si vede Villar correre, scontrarsi e travolgere i personaggi seduti, ancora con il cibo in mano. Tanta attenzione quindi appare ingiustificata, non fosse per un’attenzione particolare a quel mondo basso e popolare, che potrebbe essere frutto di una simpatia di Sfakianakis stesso e del regista Joseph Hepp, che precedentemente aveva lavorato come documentarista girando il primo reportage politico del cinema greco.
Il finale inoltre contiene una indubitabile citazione de L’innaffiatore innaffiato (1895) dei Fratelli Lumiere dove l’innaffiatore dà sollievo alle scottature di Villar e in più “censura” con il suo cappello il bacio che suggella il lieto fine un film breve ma di cui si potrebbe parlare a lungo.
Il film è disponibile solamente su un dvd edito dalla Leon Films e oggi piuttosto raro.