Up The Ladder non è certo un film innovativo o particolarmente appassionante, ma ha il merito di risultare davvero piacevole grazie a una sceneggiatura ben scritta e ben dosata nei tempi. La vicenda narra della storia d’amore tra la ricca Jane Cornwall (Virginia Valli) e James Van Clinton (Forrest Stanley), membro di una famiglia borghese ormai caduta in rovina. Per cercare di sbancare il lunario, James sta lavorando alla realizzazione del Tele-vision-phone, una sorta videotelefono ante litteram. Servono però 25.000$ che nessuno vuole dargli e che lui è troppo orgoglioso per prenderli da una donna (sic!). Jane, che sta avendo a sua volta problemi finanziari, impone quindi al suo legale Seymour (George Fawcell) di vendere la casa di famiglia e proporsi a nome suo come socio in affari per il progetto. Grazie al denaro, James riesce a realizzare il suo strumento fantascientifico e trova il coraggio per chiedere a Jane di sposarlo. Passano gli anni e i due hanno una figlia, Peggy (Priscilla Moran). Purtroppo non tutto va a gonfie vele perché James, accecato dal successo, inizia a trascurare la moglie e intraprende una relazione clandestina con la migliore amica di lei, Helene Newhall (Margaret Livngston). Tutto precipita nel giro di poco tempo: James viene scoperto dalla moglie e dal marito di Helene, Bob (Holmes Herbert), la società non ha più liquidi per mantenere la produzione e l’unico modo per salvarsi dal fallimento è cedere una parte dell’azienda. James si rivolge allora a Seymour chiedendogli di firmare e solo quando ormai le tempistiche per la cessione saranno scadute scopre che il suo vero socio è stata sempre la moglie. Jane si è però rifiutata di salvare l’azienda, nella speranza di poter rivedere nella povertà l’uomo che aveva sempre amato…
Trattandosi di un film americano vi è in realtà un’apertura a un lieto fine, con l’aggiunta di una scena ambientata un anno dopo gli avvenimenti narrati e alla successiva separazione tra i due: James ha nel frattempo trovato lavoro come dipendente presso un’azienda elettrica locale, viene chiamato dal direttore perché il suo lavoro gli è valso un cospicuo aumento di stipendio. Si rende però necessaria la presenza di un testimone alla firma del contratto che ovviamente altri non è che Jane. Il film si chiude in questo modo lasciando intendere un riavvicinamento tra i due. Non sono riuscito a verificare se questo finale fosse presente nel testo teatrale di Owen Davis, da cui è tratto il film, ma qualora fosse un’aggiunta nella trasposizione cinematografica, la cosa non mi stupirebbe più di tanto.
Il film è una chiara critica agli scalatori sociali senza scrupoli, che abbandonano i valori tradizionali pur di ottenere fama e potere. Abbiamo due lati della stessa medaglia, da una parte James, caduto in disgrazia e poi capace di riottenere la fama grazie a una sua propria invenzione. Egli però non riesce a gestire tutto questo potere e si lascia attrarre dalla lussuria. Di gran lunga peggiore è però la posizione di Helene, migliore amica di Jane, che non esita a rubarne il marito una volta che questi ha ottenuto una posizione rispettabile. Dall’altra parte abbiamo Bob, marito di Helene, che ci viene detto essere da sempre un ammiratore di Jane, che però ha sempre rispettato l’amore sincero che la ragazza prova per il James. Non dimentichiamo poi Jane stessa, che per dare una soddisfazione al marito vende la casa di famiglia e vive in ristrettezze per un certo periodo pur di prestargli il denaro necessario a permettergli di creare il suo videotelefono. Sebbene queste siano le conclusioni morali che si possono trarre dal film, Up the Ladder non le fa “pesare” e mantiene una pregevole leggerezza e godibilità. Virginia Valli è davvero splendida in questo film: la sua Jane è una donna passionale ma equilibrata, mai eccessiva nelle sue esternazioni emotive. Così, anche di fronte alle prove del tradimento del marito, mantiene la sua dignità pur nel profondo dolore. Sono lontane anni luci le interpretazioni delle dive italiane, con la loro gestualità del dolore portata all’eccesso. Probabile che per l’epoca quello di Jane doveva essere un esempio del comportamento di una donna borghese di fronte alla sofferenza: si doveva sempre tener presente il proprio livello sociale e non perdere la propria dignità di fronte ad esso. Il finale, forse posticcio, sembrerebbe suggerire un’altra delle “doti” che una donna dovrebbe avere, ovvero saper perdonare il marito nonostante tutto. Malgrado questo messaggio sia quanto più lontano dalle conquiste femminili che sono state fatte fino ad oggi, e sappiamo quante ancora vanno, purtroppo, ancora conquistate, il personaggio di Jane colpisce per questo suo amore puro e per la sua dignità che trascende la sua posizione sociale. Insomma in questo vorticare di ascese e scalate nella società sono proprio la dignità e i sentimenti puri a vincere su tutto.
La regia di Sloman è semplice e non invasiva con alcune trovate fotografiche non particolarmente innovative ma ben fatte che potete trovare nelle immagini proposte. La prima riguarda la scelta di inquadrare l’avvicinamento tra Jane e James attraverso una serie di stacchi sulle gambe dei due: nella scena lui, che si strugge per le problematiche economiche, è salito su alcuni mattoni; lei decide così di prendere uno sgabello improvvisato per poterlo raggiungere e consolare ma una volta sopra ad esso inciampa cadendo tra le sue braccia: James la stringe allora a sé e la bacia.
Nella seconda immagine potete vedere un interessante stratagemma per mettere in scena la scoperta del tradimento proprio attraverso l’invenzione fantascientifica su cui ruota il film: Jane è al telefono con l’amica Helene che si trova in compagnia di James. Attraverso lo specchio nella stanza dell’amica, Jane vede riflesso il volto del marito e capisce quindi di essere stata tradita.
In conclusione, se cercate un film piacevole senza troppe pretese Up the ladder è certamente il film che fa per voi.