Il Commissario Čekista Miroštšenko (Tšeka komissar Miroštšenko) – Paul Sehnert (1925)

kommissarMi immagino un treno arrivare a Tallinn dalla Germania dopo un duro viaggio innevato. Il lungo convoglio si ferma e con aria piuttosto spaesata ne vediamo scendere un ometto. Questo strano tipo è riuscito in qualche modo a convincere qualcuno, in Estonia, di essere un regista e anche piuttosto bravo, tanto da essere in grado di dirigere uno dei rari film del neonato stato estone. Al contrario di molti millantatori, il nostro uomo riuscirà però effettivamente a terminare la realizzazione di quanto promesso, eppure, forse per lo stress o per l’esperienza non troppo felice, questo sarà il suo unico lavoro noto. Pur avvolto in questo alone di mistero, che ho cercato di districare con la fantasia, il regista Paul Sehnert riuscì in realtà a confezionare un lavoro davvero molto ben fatto, ricco di contaminazioni tedesche e sovietiche, capace di colpire lo spettatore con immagini forti e realistiche. Non essendoci rimasto molto del già poco prolifico cinema estone ci è difficile capire in che misura Sehnert si inserisse in questo contesto. Basti pensare che il primo lungometraggio locale venne rilasciato appena un anno prima rispetto a Tšeka komissar Miroštšenko (parliamo di Mineviku varjud – 1924 – con regia di Konstantin Märska creatore della casa di produzione omonima). L’esperienza precedente era quasi tutta gravata sulle spalle del fotografo Johannes Pääsuke (1892–1918), autore più che altro di brevi documentari. Insomma questo strano personaggio è riuscito nonostante tutto ad entrare nella storia di un paese! Andiamo a vedere di cosa parla il film:

Una piccola comunità di Estoni è bloccata in Unione Sovietica in attesa del permesso a tornare nel proprio paese. Spadroneggiano nel paese dove sono alloggiati il commissario čekista Miroštšenko (Mihkel Lepper) e l’agente segreto Hevelyn (Alfred Hindrea). La giovane estone Erna (Leonidide Jürisson), fidanzata con l’Ingegner Karl Raudsepp (Kalju Rug), denuncia anonimamente la bella Agnes Tõnisson (Valentine Vassiljeva) perché pensa che stia cercando di sedurre il suo amato. Dopo una sommaria perquisizione, pur in mancanza di prove, i čekisti arrestano la madre di Agnes (Niina Ormus). Disperata, la ragazza cerca aiuto da parte del commissario che, in tutta risposta cerca di violentarla. Ossessionato dalla bellezza del giovane, Miroštšenko cerca allora di sedurla con le buone liberando la vecchia madre dopo giorni di prigionia. L’età avanzata e la detenzione la portano però rapidamente alla morte. Visto che anche “con le buone” il commissario non è riuscito ad avere le attenzioni di Agnes, decide nuovamente di violentarla, questa volta riuscendoci. Nel frattempo Erna è divorata dai sensi di colpa e confessa a Karl quanto ha fatto e lui la lascia senza pensarci due volte. Karl e Agnes raccontano all’agente Hevelyn quanto è successo e questi si offre allora di accompagnare a casa Agnes solo per cercare a sua volta di stuprarla. Questa volta Karl può intervenire e riesce a salvarla, ma l’agente, privato della sua preda, medita vendetta: nasconde prove compromettenti nel bagaglio di Karl, che stava finalmente per ripartire, e lo denuncia alla polizia segreta. Dopo una lunga tortura, Karl viene condannato a morte pur senza confessione. Grazie a un pentimento dell’ultimo secondo si arriverà a un tribolato lieto fine.

La trama è piuttosto intricata e ricca di personaggi, tanto che i primi dieci minuti sono quasi una carrellata di didascalie di presentazione che rischiano di confondere i vari interpreti. Superato questo primo momento di scoramento la trama inizia a ingranare e nel finale raggiunge il suo apice. Tšeka komissar Miroštšenko è un film di critica ai metodi della vicina Unione Sovietica, che certamente attirava ma al contempo faceva paura alla popolazione locale. Probabile che alcuni esuli politici, rifugiatosi anche solo temporaneamente in Estonia, avessero alimentato voci di abusi e malgoverno. L’indice è puntato in particolare sulla Čeka (Večeka – ВЧК) contrazione che significava “Commissione straordinaria di tutte le Russie per combattere la controrivoluzione e il sabotaggio” (Всероссийская чрезвычайная комиссия по борьбе с контрреволюцией и саботажем) spesso sciolta nel nostro alfabeto come Tšeka o Tscheka. Questa altri non era che una polizia segreta che aveva il compito di difendere a qualsiasi costo la stabilità della neonata Unione Sovietica, facendo largo uso anche di mezzi poco convenzionali come quello di fidarsi di denunce anonime. Per intenderci, possiamo considerarla un prototipo del più noto KGB. Una delle scene più intense del film è certamente quella in cui il giovane Karl viene torturato, quasi tra l’indifferenza dei presenti (vedi sotto). Nessuna pietà o beneficio del dubbio è data a chi si ritrova davanti alla commissione esaminatrice, il nostro Karl viene trattato come colpevole a cui va solo estorta una confessione che, seppur non pervenuta, gli costerà comunque una condanna a morte. Nel finale vi è una sorta di redenzione: non tutto l’apparato sovietico è infatti così, un amico di Karl, membro dell’esercito, apre un’inchiesta su Miroštšenko che è costretto a fuggire per evitare il tribunale. Ripreso e ferito il commissario si pentirà dei suoi peccati proprio davanti alla chiesa dove Agnes e Karl si sono finalmente sposati.

Pur non mancando di alcune ingenuità, Tšeka komissar Miroštšenko mi ha colpito davvero molto anche per la sua capacità di osare che, forse, un regista più esperto non avrebbe avuto. Tra le scene più particolari segnalo le riprese in movimento della vita locale, girate probabilmente su binari. Sebbene traballanti e a tratti sfocate, queste immagini mostrano uno spaccato della realtà di un tempo che oggi non esiste più.

Rispondi