Prima di Aelita, nel 1918, il cinema danese aveva messo in scena un altro splendido viaggio verso il pianeta rosso con Himmelskibet, letteralmente “la nave del cielo”. Questo film è per altro il punto di partenza per un genere di fantascienza, l’epopea spaziale, che darà vita poi alle pietre miliari di Gene Roddenberry (Star Trek ma anche Andromeda) ma anche ad opere non americane come il tedesco Le fantastiche avventure dell’astronave Orion. Per chi ha seguito Star Trek, ed in particolare la serie classica, è impossibile non notare alcune analogie tra Himmelskibet e alcune puntate della serie televisiva americana. L’idea di pianeti pacifici, quasi angelici, (più o meno apparentemente) è decisamente ricorrente all’interno degli episodi di Star Trek. La storia di Himmelskibet prende spunto dall’opera omonima di Sophus Michaëlis, scrittore danese, adattata per l’occasione da un personaggio come Ole Olsen, storico fondatore della Nordisk Film.
Avanti Planetaros (Gunnar Tolnæs), eroe danese, decide di seguire il sogno del padre, il Professor Planetaros (Nicolai Neiiendam), ed andare su Marte. La sorella di Avanti, Corona (Zanny Petersen), assieme a suo marito il Dottor Krafft (Alf Blütecher) si mettono quindi al lavoro per la costruzione della nave spaziale nonostante lo scetticismo del perfido Professor Dubius (Frederik Jacobsen). Partito a bordo dell’astronave, Avanti si ritrova ad affrontare un lungo viaggio di sei mesi, durante il quale parte del suo equipaggio, con a capo l’americano David Dane (Svend Kornbeck), cerca di ammutinarsi. Solo l’arrivo a destinazione evita che accada qualcosa al Comandante. Avanti e i suoi scoprono che Marte è abitata e vive nella pace più assoluta guidata con amore e responsabilità da un uomo saggio e generoso (Philip Bech). Avanti si innamorerà della figlia del capo del pianeta, Marya (Lilly Jacobson) che riuscirà a portare con sè sulla Terra in cambio della promessa di diffondere il verbo marziano di pace e amore…
Himmelskibet mi ha decisamente colpito per la sua freschezza e capacità di mantenere inalterato il messaggio originario. Come sottolineato in precedenza, infatti, molti degli elementi caratterizzanti di questo film si ritrovano poi in produzioni più o meno recenti del filone fantascientifico. Non mancano elementi interessanti, come la contrapposizione tra i forti e fieri danesi e gli Americani, l’unico dei quali è qui presentato come un alcolizzato poco rispettoso degli ordini del proprio comandante. Non essendo un esperto di diplomazia o storia danese non sono riuscito a cogliere bene un eventuale riferimento storico. Di certo nel 1918 si stava andando verso la fine del primo conflitto mondiale e l’idea di una pace universale non poteva che essere attualissimo. Del resto la fantascienza ha più volte dimostrato di essere una vera e propria proiezione delle situazioni storico-culturali, una sorta di metafora del presente, specialmente nei momenti di crisi più profonda. Da scarso conoscitore del cinema danese non posso che apprezzare la qualità della recitazione e delle inquadrature proposte in questo film. Di certo torneremo in Danimarca se non per Dreyer per il fantascientifico Verdens undergang (1916).
Himmelskibet è disponibile in una bella edizione DVD anglofona contenente, oltre a Himmelskibet (A Trip to Mars), anche Verdens undergang (The End of the World) che ho citato prima. Lo splendido restauro operato dal Danish Film Istitute nel 2006 contribuisce per altro a rendere questi due film ancora più belli e non posso che consigliarne la visione. Vi lascio con il trailer di Himmelskibet. Buona visione!
Curiosità: Phil Hardy, noto critico musicale e cinematografico britannico, ha messo in evidenza come dopo Himmelskibet, il cinema danese non avrebbe più prodotto film di fantascienza fino al lontano 1962 con Reptilicus.
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