Su un noto gruppo dedicato al cinema muto è da inizio anno che rompono le scatole con il centenario di Tarzan of the apes. Al Cinema Ritrovato c’era una fila chilometrica per entrare in sala, ma io l’ho volutamente bistrattato a favore di un’ora di tregua dalle lunghe sessioni di proiezioni mute. Premetto che io e Alessia abbiamo visto il 79% delle proiezioni mute in programma, e Tarzan non è stata una di queste. L’amore tra me e questa storia non è mai sbocciato: ricordo vagamente mia madre tornare a casa con il libro di Edgar Rice Burroughs, che credo di non aver mai finito o, anche qualora lo abbia fatto, non deve aver lasciato particolari tracce. Quando uscì il film Disney ero già grandicello, credo di averlo visto successivamente, ma se non fosse stato per la simpatia che nutro per Phil Collins l’avrei probabilmente ignorato completamente. In compenso da piccolo andavo letteralmente pazzo per Totò Tarzan, anche se oggi, non rivedendolo da almeno 15 anni, ho la vaga sensazione che non fosse propriamente uno dei suoi capolavori. Tutta questa premessa per dire che, nonostante tutte le avversità, ho deciso di recuperare finalmente il primo film di Tarzan e vederlo. I miei pregiudizi saranno stati confermati?
Lord John e Lady Alice Greystoke (True Boardman e Kathleen Kirkham) vengono incaricati di interrompere la tratta degli schiavi nell’Africa Britannica. Durante il viaggio in mare i marinai si ammutinano e i due riescono a salvarsi solo grazie all’aiuto di Binns (George B. French), marinaio che ha a cuore la loro sorte e che li indirizza verso una casa nella fitta foresta africana con la promessa di ricongiungersi a loro più avanti. Passano i mesi, Binns è stato fatto prigioniero dagli schiavisti e Alice ha un bambino. Purtroppo prima che lui compia un anno la giovane muore lasciando John solo con il bambino. Nella foresta, intanto, Kerchack, capo di una tribù di scimmie molto numerosa, ha perso il cucciolo avuto da Kala ed è molto arrabbiato. I primati decidono quindi di rubare il piccolo umano sostituendolo nella culla con la scimmia morta. John muore di dolore e nella casa restano così tre scheletri. Il giovane Tarzan (Gordon Griffith) cresce sano e forte come una scimmia ignorando la sua vera natura. Si imbatte un giorno casualmente in una tribù di aborigeni prima, da cui impara a vestirsi, e nella sua vecchia casa di famiglia. Intanto Binns riesce a liberarsi e raggiungere la casa dove scopre Tarzan e lo istruisce sommariamente. Purtroppo viene scoperto dagli schiavisti che lo costringono a fuggire. Anni dopo Tarzan è cresciuto (Elmo Lincoln) e Binns è riuscito a convincere una spedizione scientifica a venire ad indagare. A capo vi è il Professor Porter (Thomas Jefferson), assieme alla figlia Jane (Enid Markey) e il giovane William Cecil Clayton (Colin Kenny), innamorato perdutamente della ragazza. Tarzan guarda la spedizione da lontano. Un aborigeno rapisce Jane e Tarzan allora interviene per salvarla. Dopo un periodo passato insieme Jane si innamora di lui e gli chiede di restare assieme.
Il finale è bizzarro e precipitoso: non sappiamo che fine abbiano fatto gli altri spedizionieri, partiti alla ricerca di Jane, né cosa accadrà ai due (Jane resterà con lui nella giungla o vorrà che lui torni con lei?). Nel romanzo lui la segue in America senza però riuscire a sposarla, qui si vuole forse troncare improvvisamente per evitare di svelare un non lieto fine nel caso in cui il sequel The Romance of Tarzan non fosse stato prodotto. Il secondo film è stato effettivamente girato ma è purtroppo andato perduto, quindi non potrò farmi del male un’altra volta. Per il resto non ho molto da dire se non che i miei pregiudizi sono stati rispettati: gli attori che interpretano Tarzan, forse per sottolineare la natura selvaggia e “sottosviluppata” dell’uomo-scimmia, ripetono espressioni da pirla per tutto il corso del film (vedi foto). Devo dire che anche Jane non è che ne faccia poi di intelligenti. Le loro espressioni buffe mi hanno fatto sinceramente ridere, ma non per questo apprezzare il film. Sicuramente per l’epoca vedere tanti animali selvaggi sul grande schermo avrà fatto un grande effetto, ma nell’epoca in cui i documentari naturalistici possono essere visti ogni giorno ventiquattro ore al giorno questa particolarità non suscita particolare interesse nello spettatore. Questo, unito alla recitazione claudicante rende, a mio parere, il film molto poco apprezzabile da un pubblico contemporaneo. In più non sono presenti neanche particolari stunt che rendono magari film come quelli di Douglas Fairbanks entusiasmanti e spettacolari ancora oggi. Concludendo sento di aver perso un’ora della mia vita che nessuno potrà mai restituirmi. Un centenario che avrei volentieri fatto a meno di festeggiare!