Non sono un grande appassionato di documentari muti, eppure questo, per qualche strana ragione, mi ha attratto fin da subito, forse perché ha un’anima molto attuale, almeno nella prima parte. Il regista, Padre Norbert Weber, era un missionario benedettino che era andato in Corea per portare la cristianità nella penisola asiatica. Nel farlo, decide per qualche motivo che potrebbe essere interessante riprendere le usanze culturali del paese e poi mostrare quello che loro stavano facendo lì. Lo spirito delle riprese è contenuto in due didascalie: “il missionario è uno straniero che deve imparare a capire le persone per poter diventare un tutt’uno con loro”. Per certi versi la sua è una forma mentis simile a quella degli antropologi, che cercano di vedere le caratteristiche del popolo che stanno studiando immergendosi nella loro cultura e vivendo con loro.
Per gusto personale la prima parte è quella che preferisco: qui ci viene mostrano il modo in cui i coreani coltivano il riso, creano sandali o fanno vasi. Una parte piuttosto corposa è poi dedicata alle le loro credenze religiose, tra buddismo e “paganesimi” vari (sic.). Visto che il mio interesse documentaristico è più orientato verso l’etnografia, la seconda ora, interamente dedicata alle attività che si svolgono all’interno della missione, mi ha preso molto meno. Una delle cose più divertenti di questa parte, da insegnante, è stato però vedere i poveri coreani costretti a imparare il latino e tradurre frasi da una lingua all’altra (ultima foto in fondo).
In generale vedere la Corea molto prima della Guerra e della sua divisione mi ha colpito molto. Attraverso le immagini ci si rende conto di come passi il tempo e come le culture possano cambiare nel giro di un secolo! La prima ora la consiglierei sinceramente a tutti, la seconda un po’ meno. Più delle mie parole lascio parlare le immagini.