Sono molto affascinato dai registi che girano remake dei loro stessi film. Nel muto è piuttosto raro che questo succeda, anche se abbiamo visto insieme le due versioni di Addio Giovinezza! dirette da Genina. Più comuni i remake fatti di successi nel momento in cui avvenne il passaggio al sonoro (mi vengono in mente The Bat o The Unholy Three). Nel cinema danese abbiamo un esempio con Klovnen di A. W. Sandberg che dopo una prima versione del 1917 tornò quasi dieci anni dopo a raccontare la sua storia. Andiamo quindi a scoprire analogie e differenze tra i due.
– Klovnen – A. W. Sandberg (1917)
Joe Higgins (Valdemar Psilander) lavora come pagliaccio nel circo di Bunding e di sua moglie (Peter Fielstrup e Amanda Lund). Nutre anche un profondo affetto, ricambiato, per la loro figlia Daisy (Gudrun Houlberg). Un giorno viene notato dal Signor Wilson (Eric Holberg), un impresario che gli propone di fare il grande salto e diventare famoso. Lui accetta a patto di potersi portare dietro anche Daisy e i suoi genitori. Passano gli anni e Joe è diventato una celebrità. Daisy è però ora cambiata ed è attratta solo dal denaro e dai divertimenti e arriva a tradire suo marito con il conte Henri (Robert Schmidt). Dopo uno spettacolo, Joe scopre il tradimento rocambolescamente vedendo i due che si baciano in uno specchio. È l’inizio del declino: lui cade nell’alcolismo e perde presto il successo. Daisy muore ma viene perdonata dal marito in punto di morte. Tempo dopo, durante uno spettacolo al circo, Joe, ormai ridotto a un’ombra della stella che era, nota tra il pubblico proprio il conte Henri. Decide quindi di ucciderlo per poi perdere a sua volta la vita per un malore.
Premetto che ho prima visionato la versione del ’26 che, come vedrete a breve, ho trovato veramente deliziosa. Nel Klovnen del 1917 si notano tantissimi i limiti dovuti a un cinema acerbo e una trama sviluppata in maniera piuttosto lineare ma poco profonda. I personaggi non sono affatto caratterizzati, risultano piatti e banali. In nessun momento ho mai provato empatia con il protagonista e il suo dramma e questo limita tantissimo la fruizione del film. Sicuramente un fattore importante è anche la poca esperienza del regista che, nel momento in cui girava questo film, operava da circa tre anni. Gli attori, oltre a questo, non mi hanno impressionato: Valdemar Psilander ha uno stile recitativo molto esasperato e vicino a quello delle grandi dive italiane. Il risultato è evidentemente quello di creare una drammaticità espressiva che però, associata poca profondità del personaggio, non risulta incisiva.
– Klovnen – A. W. Sandberg (1926)
In questa versione le cose vanno un po’ diversamente:
Come nella versione precedente Joe Higgins (Gösta Ekman), mentre lavora nel circo di Bunding e sua moglie (Maurice de Féraudy e Kate Fabian), viene notato da un impresario e inizia una sfavillante carriera internazionale. La sua amata Daisy (Karina Bell), anche qui, inizia però ad essere attratta dal lusso e dalla bella vita e in una casa di alta moda incontra Marcel Philippe (Robert Schmidt), che inizia a metterle gli occhi addosso. Dopo uno spettacolo di grande successo Joe scopre il tradimento in maniera rocambolesca: un clown solleva un tendone lasciandogli comparire nello specchio la moglie e Marcel che si baciano appassionatamente. La scena successiva, colma di pathos, vede i tre camminare silenziosamente per strada in attesa della decisione della ragazza. Daisy sceglie di andare via in macchina con Marcel ma sarà una scelta sbagliata. Presto verrà infatti sostituita da un’altra donna e capirà l’errore fatto. Per più volte le strade di Joe e Daisy non si incroceranno per pochi secondi e sebbene lui l’abbia perdonata la ragazza deciderà infine di compiere l’estremo gesto e suicidarsi. Ormai è passato del tempo e Joe ha perso il successo e gira in un circo di bassa lega. Il suo nuovo spirito incattivito si rispecchia anche nel trucco che porta in scena arricchito da un costume borchiato. Durante uno spettacolo nota tra il pubblico proprio Marcel e decide di ucciderlo per vendicarsi di quanto ha subito. Proprio quando sta per sparargli, l’uomo ha però un malore e muore. Poco dopo Joe scopre che in un orfanotrofio si trova la sua figlia biologica, che non sapeva assolutamente di avere. Nel finale, strappalacrime, andrà a trovare la bambina che gli asciugherà le lacrime di gioia.
Fin dalle prime scene ci rendiamo conto di quanto siano diversi i due film e di quanto sia maturato Sandberg come regista. Troviamo una fotografia incredibilmente profonda e curata, degli attori decisamente più maturi e dotati e una messa in scena che non lascia niente al caso. Se nella versione del 1917 sembra quasi che il regista abbia dato il ciak e fatto fare agli attori un po’ quello che volevano, qui sembrerebbe esserci una cura maniacale anche al minimo dettaglio. La durata del film rispetto al precedente è doppia, siamo a due ore, e la prima è dedicata quasi completamente alla caratterizzazione dei personaggi nella loro prima vita circense. Ne escono fuori dei protagonisti profondi, con cui si lega subito e si sente affinità. Viene inoltre resa più ricca la trama togliendo il finale totalmente tragico e inserendo l’elemento inatteso della figlia. Il nuovo epilogo è dolce e commovente e toglie al povero Joe una punizione che forse era giudicata ingiusta visto quanto aveva sofferto. Nel cinema dei paesi scandinavi, e non solo, capita spesso che ci sia questo senso molto protestante della colpa da espiare. Daisy deve pagare perché ha peccato, ma Joe ha solamente subito e per questo non merita una punizione. Gli viene anche tolto il peso dell’omicidio finale con Henri che è in realtà morto per un malore e non per il colpo di pistola sparato. Forse il pubblico era cambiato, magari per influsso dei film esportati dall’America, forse un finale del genere era più esportabile ma sicuramente un finale del genere appare più giusto rispetto a quello precedente.
Ho citato la splendida fotografia. Non basterebbe lo spazio se volessi condividere le immagini più significative ma tutte sono estremamente curate ed alcune capaci di dare allo spettatore forti emozioni. Ma in questo Klovnen del 1926, Sandberg è capace, un po’ come Borzage nella trilogia con Gaynor e Farrell, di dare un tocco di dolcezza davvero impagabile specie nel dare vita all’amore tra i due giovani protagonisti ma anche nei piccoli accenni di tenerezza tra i genitori di Daisy. Sono cose piccole ma che lasciano il segno e aiutano a superare quei primi quaranta minuti di film in cui sembra non accadere nulla.
In questa ultima sezione vi lascio alcuni paragoni tra scene importanti del film così da vedere anche la diversa resa a distanza di alcuni anni: