Ci sono film talmente brutti da essere divertenti e questo è, purtroppo, uno di questi. Nel corso degli anni abbiamo visto spesso dei film provenienti da aree cinematografiche “periferiche” che per brama di citazionismo si ritrovavano a fare prodotti al limite del guardabile. Tra questi, di recente, abbiamo ad esempio parlato di Wara Wara che aveva, proprio come Grešnica bez greha, il brutto vizio di voler includere generi diversi anche quando non ce n’era bisogna. In questo film si passa dal dramma alle comiche senza soluzione di continuità o da riprese molto “classiche” per poi sfociare nell’avanguardia. Il problema è che il girato è veramente pessimo e il montaggio lo è ancora di più. Di continuo troviamo azioni che si ripetono o scene tirate troppo per le lunghe con inquadrature che variano di qualche centimetro rendendo tutto estraniante e, per certi versi, divertente. E gli attori? Hanno la straordinaria capacità di essere o totalmente inespressivi o sembrare totalmente diversi da una sezione all’altra del film.
Andiamo alla trama:
Nikola e Ljubica (Ilija Dragićevic e Sonja Stanisavljević) sono giovani e innamorati ragazzi di campagna ma tutto è destinato a cambiare quando si trasferiscono in città. Nikola viene tentato più volte dalla proprietaria della sua stanza (Žanka Stokić), ma respinge tutte le avance della signora perché ha occhi solo per Ljubica. Quest’ultima, invece, cede alle lusinghe di Lajos (Viktor Starčić), un uomo che dietro il suo aspetto gentile nasconde una vita criminale. Ljubica inizia a pensare solo al suo aspetto esteriore perdendo completamente il legame con la sua vita passata. Una sera, però, tutto le crolla addosso perché prima viene quasi violentata da Lajos e poi viene incarcerata dalla polizia che ha pensato che lei fosse una complice del criminale. Anche se scarcerata, la giovane viene giudicata e allontanata da tutti, persino dalla famiglia. Solo Nikola crede in lei e la salva addirittura da un suicidio. Nel finale tutto viene però chiarito: Lujos, infatti, si pente e rivela alla polizia che Ljubica non era invischiata nei suoi loschi affari. Tramite una lettera ufficiale la ragazza viene ripulita delle accuse e addirittura premiata con una medaglia al valore. Ora Nikola e Ljubica possono finalmente sposarsi…
Dopo la solita carrellata paesaggistica (devo dire molto curata e riuscita) ecco arrivare i nostri protagonisti. Nikola/ Ilija Dragićevic, come vedete dall’immagine di copertina, è privo di qualsiasi espressività e pare colto da una paresi facciale. Ljubica /Sonja Stanisavljević riesce, anche per colpa di come è costruito il film, a non generare alcuna empatia e appare sempre come una ragazza incapace di prendere delle decisioni ed essere artefice del suo destino. Miglior personaggio di gran lunga quello interpretato da Žanka Stokić, una sorta di Maria Antonietta Beluzzi, la tabaccaia di Amarcord, che cerca in tutti i modi di sedurre l’impassibile Nikola.
La scena più grottesca è sicuramente quella del tentativo di violenza nella casa in cui si susseguono situazioni talmente assurde da non poter essere reali. Lajos/ Viktor Starčić chiude dentro casa la povera Ljubica che, dopo interminabili minuti di giro intorno a un tavolo e montaggi terrificanti, si chiude dentro una porta e prova a chiamare la polizia. Dopo circa mezzora Nikola si rende conto che la ragazza sta chiamando la polizia e va in giro a cercare delle forbici per tagliare i fili del telefono (in questo lasso di tempo ovviamente Ljubica ha potuto dire solo “pronto?”. A quel punto invece di fuggire la ragazza resta nella stanza e il cattivone pensa bene invece di fare il giro ed entrare dalla finestra. Seguono tre minuti di una sorta di balletto in cui lui cerca di prevalere su di lei che sostanzialmente non fa altro che storcersi verso sinistra invece di divincolarsi. Ma colpo di scena! Entrano in casa dei “poliziotti” che però sono dei gran burloni e a suon di gag riescono a forzare la stanza dove sono rinchiusi Ljubica (che in teoria urla all’impazzata ma questo alle forze dell’ordine non interessa) e Lajos che non si accorge di nulla. Quando finalmente fanno irruzione nella stanza accusano la ragazza di essere complice ed iniziano un inseguimento con il malvivente. Indovinate? Il montaggio è pessimo! Vedrete alcuni poliziotti dentro e fuori casa in contemporanea e potete indovinare la qualità della scenetta. Da notare come i poliziotti siano una sorta di Groucho Chaplin mentre l’altro un misto tra Fatty Arbuckle e Oliver Hardy. Ma del resto Lajos, nella scena iniziale, sembra essere Larry Semon/Ridolini, per poi trasformarsi in una sorta di Dracula/Uomo misterioso di Lost Highways e infine cambiare presumibilmente interprete perché nella scena finale non sembra decisamente lui.
Andiamo ora alla scenografia: si passa a una relativa cura nella prima parte a una sciatteria senza senso nell’ultima, quasi fosse stato speso tutto il budget per i primi tre interni. In particolare spicca, tra gli eccessi, un busto pacchianissimo nella stanza di Ljubica a Belgrado e, in negativo, la sala da ballo fatiscente e la cella con le inferriate disegnate (sic).
Ma c’è qualcosa di positivo? Sì, prima di tutto si ride, anche se non è questo lo scopo del film. Ma c’è una cosa particolare che è davvero curiosa: il riferimento continuo e velato al sesso e in particolare un evidente feticismo del regista per le gambe delle donne (potete vedere sotto una carrellata). Altra cosa bella è vedere Belgrado prima dei bombardamenti della seconda guerra mondiale e comunque della sua evoluzione alla città che conosciamo oggi. Sembra davvero una cosa completamente diversa ed è bello poterla vedere per quello che era!
Se volete farvi del male cercate almeno di recuperare la versione che è stata restaurata proprio nel 2020 della durata di un’ora e mezza.