Il Gigante delle Dolomiti – Guido Brignone (1927)

gigante-dolomitiIl Gigante delle Dolomiti è l’ultimo film in cui possiamo vedere Bartolomeo Pagano nei panni di Maciste, il penultimo della sua produzione come attore prima di Giuditta e Oloferne (1929). Arrivati a questo punto del progetto non può dunque che scendere una lacrimuccia per quello che ha saputo intrattenermi, a distanza di 100 anni, con stupore e curiosità. Sapere, inoltre, la fine dell’attore è ancora più triste: considerato, ahimè, un superuomo e utilizzato tantissimo a scopi propagandistici da Mussolini, il povero attore si ritrovò a dover combattere con problemi di salute che sfociarono in una artrite reumatoide che lo costrinsero sulla sedia a rotelle fino alla morte avvenuta nel 1947 a seguito di un attacco cardiaco. L’uomo che aveva rappresentato il mito per un’epoca aveva dunque fatto in tempo a vederla tramontare definitivamente e a veder scoperchiati, in parte, gli orrori che essa aveva portato. Lasciando da parte la storia di Pagano eccoci dunque a parlare dell’ultimo film di Maciste diretto da Guido Brignone il quale dimostra, ancora una volta, di essere un ottimo regista. La vicenda riprende un po’ la sensazione di mistero e poliziesco del mitico primo Maciste (1915) attualizzandolo e rendendolo estremamente vivo. Altro revival è l’ambientazione montana, come in Maciste Alpino (1916), ma qui siamo lontani dalla guerra e ci troviamo nelle Dolomiti, esattamente nel passo delle tre croci. Riporto qui sotto delle foto del prima e dopo (queste ultime trovate sul web) di cui però non sono certo della terza identificazione.

Vanna Dardes (Elena Lunda) e Giorgio Muller (Luigi Serventi) tramano per rubare all’ingenuo Ingegner Riccardo Ewert (Andrea Habay) le sue scoperte che possono rendere i velivoli italiani i migliori del mondo. Incaricato di sventare il piano è il suo amico Fredy Humbert (Augusto Poggiolini), poliziotto in incognito, a cui si uniranno Maciste (Bartolomeo Pagano), una guida alpina, e la giovane pittrice inglese Maud Faie (Dolly Grey). A rendere la trama più complicata ecco apparire il piccolo Hans (Aldo Marus), nipote di Maciste, la cui madre è morta di crepacuore dopo essere stata sedotta e abbandonata da uno sconosciuto, e la presenza di una perfida guida e contrabbandiere Schulz (Oreste Grandi). Giorgio mostrerà tutta la sua cattiveria provando prima a violentare la povera Maud e poi rivelandosi anche il padre di Hans; Vanna userà invece tutte le sue doti da seduttrice per cercare di abbindolare Riccardo e rubargli i documenti. Giusto per rendere l’intreccio ancora più intricato si scoprirà, infine, che Vanna è in realtà l’ex moglie di Fredy che era fuggita con il suo amante. Nel finale Vanna fuggirà verso il confine con il benestare di Riccardo, che l’ha ormai scoperta, mentre Schulz e Giorgio moriranno tentando di attraversare il passo del gigante sotto una tormenta di neve.

Devo dire che il film è molto più profondo e interessante di quanto possa apparire in un primo momento. Intanto Brignone ha una incredibile capacità di costruire scene ad alta tensione, grazie a un ottimo uso del montaggio che alternano inquadrature dell’azione con primi piani degli attori che mostrano, di volta in volta, emozioni diverse (vedi gif). Profonda anche la riflessione finale sulla giustizia o meno della vendetta privata: Maciste vuole uccidere con le sue mani colui che ha causato la morte della sorella ma viene riportato alla ragione da Maud. Sarà poi la giustizia divina (come da didascalia) a punire i due malvagi per le loro malefatte. Quello che colpisce, in negativo, del film è una violenza continua e reiterata nei confronti degli animali. L’alpinista cattivo picchia il suo cane, Maciste ammazza a colpi di mazza, pestandoli e a mani nude diversi “lupi”. Ma ce n’era proprio bisogno? Sebbene in alcuni casi ci sia il dubbio che siano uccisioni finte, in altri la violenza è palese e reale e lascia veramente di sasso.

Le immagini e i paesaggi sono davvero stupendi e lasciano con il fiato sospeso, così come le scene girate sotto la tormenta riescono a rendere vivo lo sgomento e il senso di angoscia che i diversi personaggi provano per motivi diversi. Molto belle alcune inquadrature in cui si riprendono i personaggi riflessi in specchi o visti attraverso finestre o vetri. Il Maciste di questa trasposizione è estremamente vivo e sembra tornare ai fasti de primi capitoli già evocati ad inizio articolo. Il colosso spacca muri, solleva persone e le fa penzolare nel vuoto proprio come ai vecchi tempi. Eppure questo Maciste è anche più umano perché la presenza del nipotino e di un lutto familiare così forte gli permettono di mostrarsi estremamente affettuoso ma anche di perdere la testa quando si ritrova finalmente di fronte a colui che ha causato tanta sofferenza in famiglia. Non mancano, come da tradizione, i soliti scambi di battute ironici.

Questo Maciste è il giusto canto del cigno di una saga infinita di cui ci restano solo alcuni capitoli a ricordarci la fama e il successo che Bartolomeo Pagano era stato capace di raccogliere. Tra i tanti questo è sicuramente uno dei capitoli più apprezzabili sia per la qualità generale del master sia per una trama sfiziosa e complicata che riesce a intrattenere senza risultare troppo pesante.

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