Circolato in Italia con il nome di “Futurismo”, l’inhumaine è sicuramente un film dalla forte componente astratta, particolarità che traspare dalle riprese e dalla strana architettura degli edifici. Per questo film il regista riuscì a scritturare la nota cantante lirica Georgette Leblanc, celebre per le sue relazioni con grandi artisti dell’epoca e per la sua ecletticità. La Leblanc si cala alla perfezione nel ruolo di Claire Lescot, cantante lirica nota per la sua insensibilità di fronte ai suoi spasimanti, tanto da essere chiamata “disumana” (l’Inhumaine appunto).
Il giovane inventore Einar Norsen (Jaque Catelain), è perdutamente innamorato della cantante Claire Lescot (Georgette Leblanc), che puntualmente lo rifiuta. Esasperato dall’impossibilità di coronare il suo amore, il ragazzo tenta il suicidio. Alla vista del corpo di Einar, Claire si scioglie rivelando così il proprio amore. Solo allora il giovane compare improvvisamente rivelando di aver ordito un inganno nella speranza di far uscire allo scoperto i sentimenti della cantante. Ma Einar non è l’unico ad amare Claire. Il Maharajah del Nopur (Philippe Hériat), accecato dalla gelosia, decide di uccidere la donna per non permettere a nessun altro di averla. Per Einar inizierà una corsa contro il tempo per riportare in vita la sua amata grazie alla sua scienza…
L’Herbier si conferma il regista più vicino al mio gusto personale dando dimostrazione, ancora una volta, della sua grande ecletticità. In questa occasione veniamo sopraffatti dall’aspetto avanguardistico, condito da un interesse artistico per le sceneggiature, che ricordano da vicino quadri espressionisti ed astrattisti (in particolare la casa di Einar). Non mancano stoccate, più o meno pungenti, alla borghesia dell’epoca e ai suoi eccessi. I personaggi principali recitano perfettamente i loro ruoli, giocando molto sui movimenti del corpo e sulle espressioni. Si notano alcuni giochi di ombre molto interessanti oltre che delle scene d’antologia; in particolare mi riferisco alle sezioni in cui Einar utilizza la macchina, dove il paesaggio si deforma, attraverso una sovrapposizione di immagini o uno split screen, regalandoci il punto di vista dell’automobile stessa. La partitura originale di Darius Milhaud è purtroppo andata perduta.
Nonostante tutti questi elementi positivi, L’Inhumaine soffre l’eccessiva lentezza nello svolgimento della vicenda, probabilmente proprio per la grande cura nei dettagli che il regista dimostra di seguire. Per gli amanti del regista è sicuramente un film da vedere, mentre è poco consigliabile ad un pubblico meno esperto o appassionato. Ancora oggi l’inhumaine risulta di difficile reperibilità.
chiedo scusa per il tempo passato dall’ultimo articolo ma purtroppo gli ultimi esami mi stanno portando via del tempo.
Farò in modo di garantire almeno un post a settimana fino a metà Febbraio per poi tentare di tornare ai canonici due.
Un saluto a tutti gli appassionati del cinema muto!
D’accordo in tutto, nel ricordo, è da molti anni che non lo vedo.
In bocca al lupo per gli esami! Il cinema muto aspetta sempre… in penombra