La Virgen de la Caridad – Ramón Peón (1930)

virgen_caridadIl nostro viaggio intorno al mondo ci porta a Cuba, tre anni prima della “rivoluzione dei sergenti” e quando Fidel Castro, avendo solo 4 anni, non poteva neanche lontanamente immaginare che un giorno sarebbe stato un giorno il leader maximo. La Virgen de la Caridad è un film diretto Ramón Peón, regista, sceneggiatore e attore che molto deve alla storia del cinema cubano. La storia è impregnata di morale cristiana e non brilla per originalità. Ma andiamo a vedere la trama:

Il giovane Yeyo (Miguel Santos) possiede una piccola proprietà insieme alla madre Ritiica (Matilde Maun). Come spesso capita è innamorato, e corrisposto da Trina (Diana Marde), la figlia di Don Pedro (Francisco Muñoz), ricco proprietario terriero che ovviamente rifiuta l’idea che la sua bambina possa sposare un poveraccio. I due si frequentano segretamente e sperano un giorno di coronare il loro sogno d’amore. La situazione cambia quando giunge in città Guillermo Fernandez (Guillermo de la Torre), uomo ricco e senza scrupoli tornato per vedere il suo paese natale. Inutile dire che si innamora a sua volta di Trina. Per poterla sposare, Fernandez decide di liberarsi del rivale procurandosi un finto atto di proprietà del Bijirita, il possedimento di Yeyo. Non potendo dimostrare di essere i veri proprietari, il ragazzo e la mamma sono costretti a lasciare la loro proprietà e rifugiarsi presso degli amici. Intanto Don Pedro ha fissato la data di matrimonio della figlia con Guillermo. Ovviamente proprio poco prima che si celebri la cerimonia Yeyo troverà l’atto di proprietà, nascosto dietro al quadro della vergine Maria di cui lui era tanto devoto. Svelato l’inganno i giovani potranno finalmente vivere felici e contenti…

Il problema principale del film è la lentezza nell’ingranare: la versione che ho visto è stata portata a 24fps, e nonostante questo la vicenda vera e propria inizia a metà film. L’inizio è un insieme di riprese folkloristiche che raccontano la quotidianità della cuba rurale. Tra le tante scene c’è anche una sorta di palio che vedrà ovviamente Yeyo vincitore. La cosa più interessante è la regia: Peón sperimenta molto dal punto di vista delle riprese, lanciandosi addirittura in alcune in movimento che però non sempre riuscite, se non nella scena finale di cui potete vedere le immagini qui sotto: Yeyo è disperato perché sta perdendo tutto quello che aveva. Si gira e vede il quadro della vergine e si dirige verso di essa per pregarla. Nello stesso momento un altro personaggio sta piantando un chiodo che trapassa la parete e fa cadere la tela a terra rompendo il vetro che la protegge. Quando Yeyo la raccoglie si rende conto che dietro c’è l’atto di proprietà. Tutti questi spostamenti, sono accompagnati da un movimento di camera ben riuscito che mostra allo spettatore tutta la dinamica nel dettaglio! Si parte da uno spostamento laterale per far vedere il momento in cui il quadro cade per il chiodo piantato fino ad uno verso il basso per evidenziare la comparsa dei documenti.

Raúl Rodríguez, autore del libro El cine silente en Cuba dice del film:

L’importanza del film non sta nel fatto che si tratta della solo copia completamente preservata dell’intera produzione muta locale e neppure nel suo essere il film che chiude la stagione del muto a Cuba. Il suo merito è esclusivamente quello […] di cercare di penetrare all’interno di una certa realtà paesana¹“. Il film è tratto da un romanzo e mostra come i buoni e i diseredati possano avere successo davanti alle angherie dei potenti grazie all’aiuto della fede che, intervenendo come deus ex machina, risolverà tutti i problemi.

Concludendo il film, pur possedendo alcune caratteristiche interessanti, racconta una storia banale e poco incisiva che non mi ha particolarmente impressionato. Il buonismo di fondo e la morale religiosa non sono esattamente nelle mie corde e qui sono le protagoniste assolute.

Se siete interessati alla storia del cinema locale vi consiglio questo breve documentario:

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¹La importancia de esta cinta no radica en el hecho de que sea la única copia conservada completa de toda la producción silente de ficción, ni siquiera en el hecho de ser la cinta que cierra el ciclo del cine mudo producido en Cuba. Su mérito radica exclusivamente en el hecho de que […] hace un intento de penetrar hasta cierto punto en la realidad del campesino“.

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