Faccio una fatica enorme a scrivere de I Figli di Nessuno di Ubaldo Maria Del Colle perché rappresenta per me è stata una delle più grandi delusioni del festival complice una prima parte piuttosto interessante ma seguita da una seconda tra le più schifosamente melense che abbia mai visto. In realtà la serie era originariamente divisa in tre parti che, in occasione del primo restauro, venne accorpata in due. Il nome prende origine dai trovatelli che si ritrovano a lavorare e dormire all’interno delle cave di marco di Carrara dove la vicenda prende le mosse.
Parte 1: La bella Luisa (Leda Gys), figlia del custode delle cave di Carrara (Giulio Berenzone), inizia una relazione clandestina con il figlio dei padroni Arnaldo Carani (Alberto Nepoti). La madre di lui, la contessa Carani (Léonie Laporte), scopre però la cosa e inizia a lavorare per distruggere il loro rapporto falsificando le lettere che i due si mandano. Luisa, complice anche la morte del padre di cui si sente responsabile, entra in depressione e decide di fingere la sua morte e trasferirsi altrove per partorire il bambino che porta in grembo. Unico amico rimastole è Poldo (Ubaldo Maria Del Colle) che l’ha sempre amata e vorrebbe ancora starle accanto. Un giorno Luisa decide di scrivere ad Arnaldo chiedendo un sostentamento del bambino. Questi però non solo la crede morta e si sta intanto per sposare con una ragazza di lignaggio più alto, ma non viene a sapere nulla perché la lettera finisce nelle mani della solita malvagia contessa. Questa arriva con l’inganno a farsi dare il bambino e, nel tragico finale della prima parte, rivela falsamente la sua morte.
Parte 2: Sono passati 12 anni e Luisa si è fatta suora con il nome di Suor Dolore. Il figlio Gualberto, detto Balilla (Ermanno Roveri) è in collegio ma fugge ogni sera per andare ad ascoltare un signore che indottrina i locali con messaggi dal forte impatto sociale. La contessa Carani è invecchiata e inizia a pentirsi di quanto fatto. In letto di morte rivela al curato (Ignazio Lupi) quanto fatto e chiede perdono. La confessione viene però ascoltata anche dalla moglie di Arnaldo, Edvige (Rita Almanova) che nasconde le carte per evitare che il figlio illegittimo riemerga dal passato. Darà dunque indicazioni al fido Anselmo, il gestore delle cave, affinché lo faccia nuovamente sparire. Balilla viene dato in affidamento a un uomo che lo maltratta e decide dunque di scappare e andare alle cave insieme ai figli di nessuno per aiutarli a ottenere i loro diritti. Nella cava, anche grazie a lui, la coscienza di classe aumenta e gli operai decidono di ribellarsi e chiedere l’allontanamento di Anselmo. Arnaldo non sa cosa fare ma quando gli viene rivelata l’identità del figlio decide di accettare. La gioia per il figlio ritrovato dura poco: per fermare una miccia troppo corta che sta per provocare un’esplosione nella cava, Gualberto rimane ferito mortalmente. Sul letto di morte viene condotta anche Luisa che muore poco dopo a sua volta per il dolore.
Suor Dolore e Balilla sono davvero troppo per il mio povero cuore e ad un certo punto ho sperato solo che il film finisse il prima possibile. Il film è riassumibile in Leda Gys addolorata con sottofondo di messaggi sociali su cui non concordo propriamente del tutto. C’è appena stato il biennio rosso in Italia ed è evidente che i padroni delle fabbriche e delle azieden sono preoccupati così come probabilmente parte della popolazione (specie della medioalta borghesia). I due personaggi che più si battono per i diritti dei lavoratori sono Poldo e Balilla ed entrambi portano lo stesso messaggio: non bisogna scioperare ma continuare a lavorare perché è il lavoro a renderci uomini, tanto i padroni, se contattati, sapranno stare dalla nostra parte. Vorrei puntualizzare una cosa: il nome Balilla non è associato ancora la movimento giovanile fascista (del resto la marcia su Roma è del 1922) ma è associato a Giovan Battista Perasso detto Balilla che a Genova diede inizio alla sollevazione contro gli asburgici nel 1746. Balilla starebbe per “piccola balla” che era il nome con cui si indicavano gli adolescenti a Genova per l’appunto. La cosa bizzarra di questo film è che sembra seguire indicazioni per lo meno socialiste (forse per accattivarsi la ragione degli operai) ma poi applicandole dalla parte dei padroni.
Mi lascia piuttosto perplesso anche il modo in cui viene gestita la trama del figlio e del matrimonio di Arnaldo. Una volta sposatosi mai viene messo in discussione il suo matrimonio e la relazione con la nuova moglie (e per spezzare anche solo questa infamante eventualità Luisa diventa suora) e il figlio frutto di questa relazione illegittima non può che morire malamente seguita poco dopo dalla madre.
La cosa che sicuramente più manca alla seconda parte rispetto alla prima è la presenza di un antagonista vero e proprio come la contessa Carani che era stata capace di macchinare malignamente tutto l’intrigo principale. Forse era diverso in passato, ma il personaggio di Anselmo, il cattivo gestore delle cave, è un personaggio in realtà piatto e privo di qualsiasi mordente. La presenza dei trovatelli è poi inserita in maniera bizzarra perché abbiamo da una parte il pietismo generale ma dall’altra l’assoluta volontà da parte di Luisa di fare di tutto affinché il proprio figlio non possa mai finire in quelle condizioni.
Insomma: a fronte di un primo episodio ben costruito, I Figli di Nessuno si perde decisamente nella seconda parte lasciandosi trasportare troppo dalla componente melensa e lacrimosa ai danni dell’intrigo vero e proprio.