Il film Geomsa-wa yeoseonsaeng mi affascina per due motivi distinti che però sono cardinali all’interno del film. Da una parte, da insegnante, la trama di fondo. Tutto ruota intorno alla vita di una maestra che, grazie alla sua umanità, cambia di fatto la vita a tante persone. Dall’altra, da classicista, ho trovato prima destabilizzante e poi estremamente interessante la narrazione a voce portata avanti dal Byeonsa Sin Chul. Per chi, come me fino a poche ore fa, non sapesse cosa sono, i Byeonsa sono di fatto dei narratori di film che accompagnavano con i loro commenti e con dialoghi quello che stava avvenendo su schermo. Nel farlo, però, Sin Chul assume un tono di voce cantilenante che permette di godere del film anche senza una musica di accompagnamento a cui siamo solitamente abituati. Dov’è il fascino? Non so, per certi versi mi sono sentito a casa, perché la narrazione “litanizzante” mi ha ricordato le tanto celebri narrazioni orali dei primordi della letteratura e, in generale, la caria vecchia lettura in metrica. Prima di passare alla trama voglio fare anche una piccola introduzione storica: siamo nel 1948 e, di conseguenza, potreste certamente chiedervi come fosse possibile che venissero prodotti ancora dei film muti in Corea. Ebbene, a causa degli strascichi bellici e delle conseguenze dell’occupazione giapponese, in Corea era molto difficile trovare cinema che avessero proiettori per i film sonori. In questo periodo, allora, si assistette a un incredibile ritorno al cinema muto con metà delle produzioni che erano prive di sonoro. Ad accompagnare queste pellicole, per dare un senso di familiarità a un popolo distrutto dagli ultimi avvenimenti, ecco allora rifare capolino i Byeonsa. Faccio presente che, da una rapida ricerca, questa tradizione è stata recuperata e ci sono ancora dei professionisti di questo ambito che accompagnano i film muti durante la loro proiezione.
Una giovane maestra di scuola elementare Choi Yang-chun (Lee Yeong-ae) nota che il suo studente Jang-son è debole ed emaciato. Egli, infatti, è orfano e non mangia per permettere alla nonna ammalata di sopravvivere. La maestra decide quindi di aiutare il giovane ma un giorno deve partire. Prima di andare via gli dona tutti i suoi risparmi su un libretto postale e parte facendosi promettere che avrebbe studiato e sarebbe diventato un uomo onesto. Passano dieci anni e la maestra Choi si è sposata e porta avanti felicemente la sua vita sempre con un occhio per il prossimo. Questa volta, però, il suo aiuto le si ritorcerà contro. Nota infatti una bambina piangente perché non vede il padre da diversi giorni. Ironia della sorte conoscerà presto l’uomo (Lee Up-dong), un evaso di prigione che per dare da mangiare alla figlia aveva rubato e commesso un delitto involontariamente. Choi riesce ad organizzare un incontro tra padre e figlio e poi convince l’uomo a non fuggire dalla polizia ma a costituirsi. Avendo il cuore tenero, in attesa che quest’ultimo esca dal carcere, la maestra tiene a casa la bambina e porta ogni giorno il pranzo al detenuto. Tutto questo accade in un momento in cui il marito di Choi era fuori per affari. Quando torna la città mormora e questi è convinto che tra Choi e il carcerato ci sia una storia. Per convincere la donna a confessare, l’uomo prende un coltello ma cade e si uccide maldestramente. La povera maestra viene accusata di aver ucciso il marito e viene portata in tribunale. Indovinate chi è il pubblico ministero (Kim Dong-min) incaricato di seguire il caso? Esatto, proprio Jang-Son, che grazie alla sua cara insegnante ha fatto carriera e può ora sdebitarsi aiutandola a vincere il processo…
Come vedete la storia è molto semplice e di per sé il film non è eccezionale eppure ha saputo fare breccia nel mio cuore per quanto detto sopra. Ci sono degli elementi interessanti che fanno pensare sulla cultura locale. L’idea di una volontà divina che, nonostante il male che possa capitare, alla fine guida positivamente la vita degli uomini ma anche l’idea che il fare del bene non sempre porti cose buone, ma che possano capitare anche cose terribili che noi non possiamo controllare. Alla fine, però, la chiusa è positiva perché la vicenda di Jang-Son, diventato pubblico ministero, ha potuto rendere felice e orgogliosa la sua insegnante per il resto della vita. Rientriamo qui in un tema piuttosto caldo per chi affronta con passione e ragione la carriera del docente: tutti vorremmo essere dei superprof come quelli de L’Attimo Fuggente, School of Rock o Les Choristes, cioè capaci di avere reale sintonia con tutti gli studenti e poterne cambiare, in positivo le sorti. Purtroppo non solo non è così ma è anche sbagliato darsi, in maniera egocentrica e poco modesta, un ruolo così importante nella vita altrui. Nella scuola ideale il docente dovrebbe per assurdo essere una figura quasi secondaria che dovrebbe fungere da strumento allo studente che dovrebbe sviluppare attivamente e, in parte, autonomamente quelle conoscenze e competenze che gli serviranno poi per essere un cittadino attivo e partecipe in base a quelle che sono le sue inclinazioni e le sue qualità. Ovviamente ancora oggi non è così, ma dovremmo andare sempre più verso un paradigma in cui è lo studente ad essere primo motore attivo della propria conoscenza ovviamente seguito dal docente. L’ideale e il reale sono due cose completamente differenti, è chiaro, ma è altrettanto chiaro che i superprof non esistono o sono rarissimi e cercare di emularli rischia solo di essere controproducente. In tutto questo emerge però un valore forte dalla nostra storia: l’importanza del legame empatico con i propri studenti! Tutti noi abbiamo avuto dei docenti che, con la loro totale mancanza di empatia e con un certo grado di sadismo, hanno dato vita a un clima scolastico malsano. L’idea di una scuola della sofferenza in cui il sapere si costruisce attraverso il dolore e le notti insonni è assolutamente sbagliata perché è dimostrato che in ambienti di questo tipo gli studenti tendono a far subentrare forme di rifiuto totale (si parla ad esempio del cosiddetto “filtro affettivo”). Trovare insomma una docente che, come nelle migliori delle tradizioni dei libri ambientanti nelle scuole, prova affetto ed empatia per un suo studente è sempre qualcosa che mi scalda il cuore. Parlare di queste tematiche in un articolo, per altro dedicato al cinema muto, porta ad evidenti semplificazioni e non voglio dilungarmi troppo su argomenti sui quali spenderei ore. Quello che voglio sottolineare è quanto la mia professione abbia bisogno di essere esercitata in maniera attiva e ragionata, attraverso una formazione e una riflessione continua su quelle che sono le strategie vincenti o meno e quanto sia necessario mettersi continuamente in discussione in funzione delle persone che si hanno davanti di volta in volta e, ovviamente, alle singole situazioni che si hanno di fronte. Come nel film, anche personalmente, mi sentirò felice a sapere che il maggior numero possibile dei miei studenti, nei prossimi anni, possa sentirsi felice e realizzato per quello che è riuscito a raggiungere, qualunque cosa sia.