Echi di Vacanze Romane in The Runaway Princess, che riprende lo stereotipo della principessa stufa della sua vita priva di libertà che decide di fuggire entrando così a stretto contatto con la “vita vera”. Una coproduzione britannico-tedesca cerca così di sviscerare questo tema prendendo spunto dall’opera di Elizabeth von Arnim ambientato, e qui si torna al tema di quest’anno delle Giornate del Cinema Muto di Pordenone, nell’immaginario granducato di Lothen-Kunitz.
La giovane Principessa Priscilla (Mady Christians) ha appena compiuto 21 anni ma è stufa degli impegni e dei vincoli a cui è costretta come principessa ereditaria. Goccia che fa traboccare il vaso, viene fidanzata dal padre con il principe ereditario di Savonia, che non conosce e non vuole assolutamente sposare. La giovane prende dunque il suo caro mentore Theobald Fritzing (Fred Rains) e parte per Londra. Seguono una serie di equivoci che la portano ad avere a che fare con una banda di falsari (Norah Baring e Randolph Thompson) e ad essere inseguita da un detective (Claude H. Beerbohm), che la crede in combutta con loro, e un corteggiatore (Paul Cavanagh) un po’ assillante. Sarà proprio quest’ultimo a farla uscire dai guai per rivelarsi, incredibilmente, come il principe ereditario di Savonia che avrebbe dovuto sposare per volontà del padre.
Rispetto a commedie tedesche più brillanti, questa mi è sembrata un po’ troppo naif e banale, senza dei veri e propri colpi di genio o momenti di particolare frizzantezza. Ritroviamo ripetutamente la medesima situazione riproposta: la principessa cerca di fare qualcosa, crea solo danni perché ha vissuto totalmente al di fuori dalla realtà per tutta la sua vita, viene salvata dall’intervento tempestivo del suo spasimante. Ed eccola dunque talmente stupefatta dalla vita di città da ritrovarsi quasi investita; eccola poi senza un soldo pretendere di prendere un bus e trovare il suo albergo semplicemente passandoci casualmente di fronte; eccola, ancora, credere di poter guadagnare soldi facili come segretaria senza particolari doti. Viene insomma più volte evidenziato come la ragazza abbia un viso da persona per bene e, per certi versi, credulona, e che quindi si ritrova immischiata in situazioni più grandi di lei. Ma perché, allora, il principe non ha le stesse problematiche? Stranamente attuale una delle scene in cui la principessa, per non farsi riconoscere, indossa uno spesso velo nero lasciando pensare ai suoi compagni di scompartimento di avere una malattia infettiva. Invece di essere contenti della sua FFP2 ante litteram la cacciano buttandola tra le braccia del suo spasimante.
Parte dei momenti comici sono poi costruiti sulla figura del detective che si crede furbo ma non ha capito in realtà niente, con una serie di coincidenze ed equivoci che portano alla colpevolezza della principessa distogliendo l’attenzione dai veri falsari. Questo anche perché, visto che dobbiamo aggiungere stereotipi, la giovane non è in grado di trattenersi dallo sperperare i soldi appena guadagnati in shopping compulsivo per le boutique londinesi.
Sebbene il film sia caratterizzato da un senso di leggerezza gradevole, non sono riuscito a liberarmi dalla sensazione di star vedendo un prodotto veramente debole a livello narrativo e visivo. Cosa allontana questo prodotto da film di fine anni ’10 o inizio anni ’20? Eppure siamo ormai al tramonto del cinema muto, in un 1929 dove le produzioni erano sostanzialmente più sonore che non. Certo abbiamo delle carrellate o movimenti di macchina di qua e di là, ma per il resto non è che ci sia poi tanto altro…
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