Mentre mi appresto a leggere “Niente di nuovo sul fronte occidentale” di Remarque, non potevo lasciarmi scappare uno dei più grandi capolavori antimilitaristi della storia del cinema: J’accuse di Abel Gance. Il regista, riprendendo il titolo del celebre libro di Émile Zola, ci regala un film di avanguardia ricco di scene e immagini splendide, che hanno saputo colpirmi in più di un’occasione.
J’accuse narra la storia del poeta Jean Diaz (Romuald Joubé) innamorato della bella Édith (Maryse Dauvray), che non può ricambiare il suo amore perché moglie del bruto François Laurin (Séverin-Mars). I due uomini si odiano profondamente il destino li unirà al fronte. Édith viene rapita dai tedeschi e mette alla luce un figlio, nel frattempo tra Jean e François, entrambi arruolati, nasce una forte amicizia. Ma la guerra distruggerà tutto: François morirà stringendo la mano del suo amico, Jean impazzirà trovando a sua volta la morte.
Abel Gance riesce a disegnare perfettamente la psicologia dei suoi personaggi nel corso delle tre parti (“époques“) in cui il film è diviso. Jean, giovane poeta pacifista, autore del poema “Les Pacifistes“, per amore rinnega i suoi ideali finendo per perdere il senno e la propria capacità artistica. La sua esistenza è costellata da incubi e visioni nell’incapacità di distinguere il sogno dalla realtà. François, invece, provato dagli orrori della guerra mitigherà la sua durezza dimostrandosi un fidato amico. Ma anche quando i cambiamenti sono positivi la guerra non risparmia nessuno, e François perderà la vita al fronte. Édith, infine, è una donna forte e debole allo stesso tempo, divisa tra due uomini e costretta a dolorose menzogne per non ferire i suoi cari. Anche per lei la guerra sarà fonte di tante sofferenze, che solo la piccola Angèle (Angèle Guys) riuscirà a mitigare.
Dal punto di vista della fotografia il regista sembra essere molti anni avanti rispetto a tanti suoi contemporanei, regalandoci bellissime riprese tra belle sovraimpressioni e crudo realismo nel descrivere la brutalità della guerra. Ogni azione nasconde una sua poesia, ogni avvenimento un insegnamento. Difficile scegliere la scena più bella, di certo grazie a questa caratteristica le quasi tre ore del film scorrono molto rapidamente.
J’accuse venne presentato appena un anno dopo la fine della guerra, quando la Francia, ma non solo, si interrogava su quello che aveva significato il primo conflitto mondiale. Come in tanti altri classici traspare una forte critica nei confronti gli ufficiali con ranghi superiori che decidono il destino dei propri soldati piantando semplici bandierine sulle mappe della Francia, in netto contrasto con la condizione pietosa in cui si trovavano i soldati nelle prime linee, dove in un attimo chiunque può perdere la vita. La guerra di trincea è stata una delle vicende più cruente dello scorso secolo e da qui nasce il monito del regista che lascia ai morti in battaglia il compito di assicurarsi che una simile barbarie sia evitata in futuro. Abel Gance cercherà, con un remake del 1938, di ricordare agli uomini quanto accaduto pochi anni prima, ma non sarà sufficiente: nel 1939 scoppierà la seconda guerra mondiale portando nuovamente morte e disperazione. Visto con il senno di poi J’accuse è un film che lascia dentro tanta tristezza per quello che si sarebbe potuto evitare ascoltando gli insegnamenti del regista. Il film è disponibile in DVD nell’edizione americana ad un prezzo piuttosto elevato, ma totalmente giustificato dall’ottima qualità del restauro.
Avevo avuto la fortuna di vedere il Napoleon e ora finalmente ho potuto vedere J’Accuse. C’è poco da dire: un film intenso, con soluzioni strabilianti. Abel Gance è davvero un gigante del cinema, peccato che spesso non venga ricordato come merita – la lunghezza dei sui film, a mio parere, è il maggior deterrente….
concordo in tutto con te