Con l’esperienza di Das Tagebuch der Dr.Hart (1916) Paul Leni si è acquistato la fiducia di Paul Davidson, produttore per la PAGU. L’anno successivo infatti è chiamato a curare le scene in un film di Alfred Halm con Emil Jannings, Der Ring der Giuditta Foscari (perduto), e in Der Blusenkönig, un cortometraggio di Ernst Lubitsch che è stato recentemente proiettato al Festival di Locarno del 2010 nell’ambito di una retrospettiva a lui dedicata, acclamato al tempo principalmente come uno slapstick ben riuscito, ma in cui si riconosceva la «finezza» (nota 1) di alcune scene.
Forse per la sua capacità di “vedere” le scene e di caratterizzarle fortemente in un ambiente storico, Leni viene scelto per dirigere due adattamenti da grandi classici: Prima Vera basato su La signora delle Camelie di Dumas figlio e Dornröschen, dalla fiaba a noi nota come La bella addormentata o Rosaspina.
La prima pellicola è purtroppo andata perduta ma si conserva qualche immagine di scena tra cui una in cui Erna Morena è distesa sul letto con Harry Liedtke che la osserva preoccupato. È certamente interessante notare come anche tra le poche foto rimaste di Der Ring der Giuditta Foscari vi sia una scena molto simile e in Dornröschen l’inquadratura culmine sarà sulla “bella addormentata” distesa con lo stesso Liedtke nei panni del principe venuto a risvegliarla. Sono certamente coincidenze di sceneggiatura, ma la somiglianza tra le tre immagini suggerisce certo che Leni abbia acquistato una consapevolezza dei propri modi e strumenti cinematografici.
Girato negli studi di Berlino-Tempelhof, Dornröschen è stato il progetto più elaborato della Pagu che, prendendosi un bel rischio, ha investito quasi l’intero capitale della società, 2,2 milioni di marchi, scommettendo su un film per famiglie e bambini in tempo di guerra. Fu promosso come un’opera che «metteva insieme tutta la migliore arte e tecnologia cinematografica del ventesimo secolo, degna di stare tra le più grandi creazioni della nuova arte», affermazione che può sembrare velleitaria ma che svela quanto fosse ambizioso il lavoro svolto.
Tale dispiego di forze economiche e pubblicitarie stupisce se si vanno a guardare le personalità artistiche coinvolte. A partire da Leni che, se si era affermato come scenografo in teatro e nel cinema, non era così esperto nella regia troviamo un direttore della fotografia esordiente, Alfred Hansen, uno sceneggiatore, Rudolf Presber, discreto scrittore ma scarsamente attivo in ambito cinematografico e l’attrice protagonista, Mabel Kaul, praticamente al suo primo e unico ruolo.
Nonostante ciò il film ebbe un’ottima riuscita e viene da più voci posto come capostipite di quel cinema monumentale, storico e in costume che avrebbe dominato molta della produzione della Repubblica di Weimar fino alla metà degli anni venti. I meriti vengono riconosciuti in primo luogo all’ambientazione scenica capace di «prendere queste figure nel loro fascino misterioso e creare una fiaba cinematografica la cui rigida purezza di stile non è stata finora raggiunta in Germania».(nota 2)
Al fianco di Leni, per la scenografia e la costruzione dei set, c’è anche Kurt Richter, assiduo collaboratore di Lubitsch e futuro scenografo del Golem di Wegener.
La fiaba alla base del film, di tradizione europea, ha una lunga serie di rifacimenti e adattamenti in più ambiti artistici. Dalle prime versioni nel Roman de Perceforest (XIV sec.), al rifacimento napoletano della metà del seicento di Giambattista Basile nel Pentamerone o Lo cunto de li cunti, fino alle redazioni più “canoniche” di Perrault e dei fratelli Grimm. Ha ispirato Čajkovskij per le musiche di un balletto e Respighi per un’opera lirica. Da tenere particolarmente in conto in questo caso è la ricca iconografia ispiratasi a Dornröschen, soprattutto di periodo ottocentesco (Rheam, Crane, Doré, Dielitz, Vasnetsov), che ha fortemente influenzato il cinema sul soggetto.
Prima dell’opera di Leni, per quanto ne abbiamo notizia, le vicende di Rosaspina erano già state portate sullo schermo nel ’12 in Gran Bretagna e nel ’13 negli Stati Uniti, entrambe le volte col titolo The Sleeping Beauty.
La fiaba è ben nota, un Re e una Regina aspettano da molto tempo un figlio e quando infine nasce una bambina invitano al battesimo tutte le personalità del regno e tutte le fate. Tutte portano in dono alla neonata grandi qualità e virtù ma una fata cattiva, che non era stata invitata, giunge inaspettata e profetizza che la bambina, una volta cresciuta, nel giorno del suo sedicesimo compleanno morirà punta da un fuso di un arcolaio. Un’ultima fata buona mitiga la profezia mutando la morte con un sonno lungo cent’anni, che sarà interrotto solo con l’intervento di un principe. La profezia si avvera e la fata buona ricopre l’intero castello di spine e dona a tutti un lunghissimo sonno. Dopo cent’anni la storia del castello è stata quasi dimenticata ma un coraggioso principe decide di sfidare i rovi e questi gli si aprono innanzi conducendolo alla stanza della principessa che risveglia con un bacio. I due regneranno felici.
Alcune versioni hanno un finale diverso, altre sono più lunghe ma gli elementi di base sono costanti. Il film di Leni segue quasi fedelmente la versione di Perrault, che è quella per certi versi più attenta alla funzione morale del racconto, quella più rassicurante, dal quale sono espunti i tratti più crudeli e subdoli che richiamavano interpretazioni mitologiche (il passaggio dall’anno lunare a quello solare – dalle 13 fate alle 12 – o il ciclo delle stagioni) o legate alla sfera sessuale (lo stupro o il passaggio all’adolescenza).
Non è forse un caso che la versione scelta per Leni sia proprio la più “favolistica”. Holger Jörg nel suo libro “Die Sagen- und märchenhafte Leinwand”, sul rapporto tra racconti del folklore e cinema tedesco tra il 1910 ed il 1930, mette a confronto il film di Leni col Rübezahls Hochzeit (1916) di Paul Wegener e Rochus Gliese, tratto anch’esso da un racconto popolare con protagonista Rübezahl. Jörg mette in luce come il trattamento imposto da Wegener, che ha anche il ruolo di protagonista, al materiale folklorico sia quello di plasmarlo a servizio della sua inventiva cinematografica, per natura più cruda e viscerale, Leni invece si pone lui al servizio della storia e prova a metterla in scena nel modo migliore possibile. Il suo approccio è dunque, così vien definito, conservatorista e rassicurante, focalizzandosi su un impressionismo decorativo ottenuto con scene e costumi, rinunciando a caricarlo di forti emozioni e simbolismi.
Già la scelta di racchiudere l’intera vicenda tra due scene di una placida nonna, che racconta con un libro aperto le fiabe ai nipoti raccolti intorno a lei, indirizza lo spettatore verso una predisposizione favolistica. «Tutte le fiabe iniziano con “C’era una volta”» afferma la didascalia e siamo subito inseriti in un altrove lontano nel tempo e nello spazio, come a dire «non temete, ciò non può accadervi».
All’inizio della narrazione abbiamo l’annuncio, da parte di una rana, della gravidanza della regina, che vicino alle acque gioisce assieme a delle compagne. Questo aspetto non è compreso nella favola di Perrault, mentre in quella dei Grimm è un granchio a fare l’annuncio.
Fanno subito mostra di sé le numerose scene di esterni, ricostruiti o meno, su cui la produzione ha molto investito. Gli interni sono invece quasi sempre spazi angusti, delimitati da porte, scale, tende, usate per il movimento delle numerose comparse che tendono quasi ad affollare le scene, sovraccaricandone il naturalismo. La recitazione è forse l’aspetto più penalizzante del film risultando enfatizzata e a tratti immatura. Qua e là emergono a stemprare i toni anche aspetti burleschi laddove intervengono i servi o gli avventurieri che vorrebbero andare al castello superando i rovi prima del predestinato principe.
È stata data attenzione ai viraggi delle scene, alternando bene tonalità verdi, gialle, blu fino al rosso della sequenza in cui vengono incendiati tutti i fusi del regno ed è forse significativo che tutte le scene principali abbiano il viraggio meno intenso, di un rosso-rosa molto chiaro, che le avvicina al puro bianco e nero che probabilmente nel pensiero di Leni meglio esprime la tensione e la drammaticità degli eventi.
La scena più forte e forse la meglio costruita è quella in cui la protagonista si punge col fuso e cade addormentata. È introdotta dalla balia che la accarezza e le legge storie da un grosso libro, immagine che richiama la nonna che racconta in apertura del film. Il Re e la Regina sono usciti a caccia e nel frattempo la strega si è trasformata con un trucco a la Méliès in una vecchia ricurva. La balia viene distratta dalle serve, lascia il racconto e viene portata via dal loro chiacchiericcio: Rosaspina resta sola, libera di vagare per le stanze più nascoste del castello. Attraversa piena di curiosità portali gotici, stretti passaggi bui, si affaccia ad una grata la cui luce è proiettata netta sul muro (una delle icone weimariane di cui Leni farà ed ha già fatto uso), percorre corridoi fino ad arrivare ai piedi di una scala a chiocciola.
Qui le immagini ritornano sulla stanza vuota della ragazza, la balia ritorna e non trovandola ne è preoccupata. Inizia così un montaggio alternato che mostra ora la ricerca della balia, ora il ritorno sereno dei genitori dalla caccia, e ora il fatale dirigersi di Rosaspina verso la strega in cima alla torre. La ragazza sembra sentire il richiamo della balia ma si porta le mani alle orecchie, non vuole sentire né tornare indietro. La porta in cima alle scale ha una fessura attraverso cui lei intravede la strega che fila all’arcolaio, la porta le si apre davanti senza che lei la tocchi. Entra nella stanza confusionaria e polverosa (ragnatele che rivedremo uguali anche in altri lavori di Leni, principalmente in The Last Warning del 1929) e attratta dall’oggetto sconosciuto chiede alla vecchia di poterlo provare e la strega approfitta per pungerla col fuso.
Su questa scena la definizione espressa da Jörg di conservatorismo del film di Leni trova i suoi limiti. Qui tutti i mezzi cinematografici utilizzati non hanno per nulla l’unico scopo di descrivere, di rassicurare, connotano invece fortemente i modi operativi di Leni: l’illuminazione, gli spazi, il montaggio, i piani, tutto è stile a servizio del significato: in questo caso l’attrazione della ragazza per lo sconosciuto.
Nella versione a cartoni animati della Walt Disney del 1959 questa scena è molto simile, a guidare la ragazza non è una innocente curiosità ma una sfera di luce verde, colore sempre evocato dal male e dalla presenza della strega. Le varie interpretazioni della fiaba hanno visto prevalentemente in questa profezia-destino cercata con curiosità il passaggio all’adolescenza e la scoperta della sessualità, un passo inevitabile per quanto oscurato dalla volontà dei genitori di far sparire tutti i fusi. Sessualità che trova la sua armonia solo all’arrivo di un uomo-principe, che fa risvegliare tutti e fa riprendere il corso normale del tempo e della vita.
Dopo la scena del fuso tutte le stanze si ricoprono di rose e di rovi, in un’inquadratura l’intero castello visto da lontano è sommerso dalle rose che appaiono dal basso e lentamente ricoprono l’intera immagine. Ancora in The Last Warning (1929) ritroveremo un’immagine del tutto uguale in cui la città viene ricoperta di pagine di giornale in cui c’è la notizia dell’omicidio che è alla base del film.
Ma la tecnica del tutto innovativa che troviamo in Dornröschen è l’utilizzo del fermo-immagine, altro caso in cui l’inventiva di Leni piega la storia ai fini cinematografici. La fiaba infatti narra che i cento anni fino alla risoluzione dell’incantesimo trascorrano naturalmente, mentre gli abitanti del castello dormono. Tant’è che il principe, risvegliata la ragazza, le dirà che i suoi abiti non sono più di moda. Leni invece ferma del tutto il tempo nel castello e lo fa con dei fermo-immagine sulla servitù che era stata precedentemente ripresa nelle loro azioni quotidiane, in cucina, al fuoco, in cortile.L’immagine si blocca dopo la puntura al fuso immobilizzando quei gesti e da quegli stessi fotogrammi ci si “risveglierà” all’arrivo del principe, con i personaggi che riprenderanno a muoversi come nulla fosse accaduto.Certamente l’immagine fissa più riuscita è quella di un uomo in cantina che vuole bere da una botte, vi si stende sotto e appena apre il tappo l’immagine si ferma, con il liquido che sgorga fuori dalla botte.Al risveglio l’uomo potrà finalmente bere.
Il film, conservato al DIF (Deutsches Filminstitut) non ha avuto un’edizione dvd ma esistono registrazioni da una diretta degli anni ‘90 per la tv britannica con accompagnamento musicale dal vivo di un ensemble diretto da Frank Strobel con musiche appositamente composte da Jerzy Sokorski.
1 Der Kinematograph, Nr. 568, 7.11.1917
2 Lichtbild-Bühne, Nr. 51, 22.12.1917