Nel 1916 a 31 anni Paul Leni fa il suo esordio alla regia con Das Tagebuch des Dr. Hart (Il diario del Dott. Hart), anche noto come Der Feldarzt (Il medico militare), un film di propaganda commissionato dalla BUFA per mostrare il lato gentile e umano dell’esercito tedesco all’estero, in particolare in Polonia.
Quindici anni prima Leni era giunto a Berlino dalla città natale Stoccarda con la volontà di inserirsi nel mondo dell’arte come grafico e pittore. Frequenta l’Accademia e inizia a lavorare per la moda e la pubblicità distinguendosi per le doti caricaturali ed espressive. Il cinema di quegli anni è ancora puro intrattenimento ed è lontano dalle ambizioni di Leni, si dovranno attendere i primi anni della seconda decade del nuovo secolo perché esso sia considerato un maturo mezzo d’espressione su cui investire artisticamente. Nel frattempo collabora attivamente come grafico e illustratore con le riviste Der Sturm e soprattutto Lichtbild-Bühne, la prima rivista di critica cinematografica tedesca, entrando in contatto con gli ambienti artistici più di avanguardia. Il teatro che ruota attorno a Max Reinhardt e al Deutsches Theater si pone al crocevia di queste innovazioni, è qui infatti che si forma la futura generazione di artisti tedeschi che porterà nel campo cinematografico, ovunque negli anni a venire, le proprie idee e il proprio stile: i registi Murnau, Lubitsch e Pabst, Lang – anch’egli pittore -, la Riefenstahl, le attrici Dietrich e Garbo, gli attori Veidt e Jannings, e altre numerose figure tra sceneggiatori, direttori della fotografia e scenografi.
Tra questi ultimi c’è Leni la cui passione e capacità decorativa comincia a farsi un nome, prima nella realizzazione di manifesti e locandine sia per il teatro che per il cinema, poi con i primi costumi di scena. Nel 1911 è tra gli scenografi più fidati di Reinhardt stesso e le teorie del grande regista lasciano una grande impronta nel giovane Leni. L’uso dinamico dell’illuminazione, le scenografie essenziali e simboliche, la disposizione di figure e azioni nello spazio troveranno grande utilizzo in tutti i suoi successivi lavori. Il primo contatto col cinema avviene nel 13, Joe May lo chiama per curare le scene di alcuni suoi film tra cui una serie di polizieschi basati sul personaggio di Stuart Webbs. Nel 15 lavora su due film con Max Mack, il regista di Der Andere (1913). Entrambi sono prodotti da Paul Davidson, che si occuperà poi delle prime regie di Leni oltre a lanciare alcuni tra i migliori film di Gad e Lubitsch e a dare un forte impulso allo stile espressionista scommettendo sul Golem (1920) di Paul Wegener. Non si hanno materiali su cui giudicare i primi risultati cinematografici di Leni, tutte queste opere sono perdute o presunte tali.
Ma nel 1915 ovunque in Europa si combatte la prima guerra mondiale, Leni viene chiamato alle armi sul fronte orientale tra Germania e Russia. Nell’agosto di quello stesso anno la Germania occupa quasi l’intero territorio polacco, sottraendolo all’esercito russo in piena ritirata. Il popolo polacco con la promessa di indipendenza garantita da entrambe le fazioni si ritrova indeciso e scisso al suo interno: un terreno fertile per un’ampia azione di propaganda a qualsiasi livello. In Germania e ovunque tra gli stati impegnati nel conflitto fiorisce un cinema militare, di documentazione ma anche di informazione veicolata all’autocelebrazione. All’interno degli eserciti vengono selezionati operatori e mestieranti per creare delle squadre apposite alle riprese cinematografiche. Il materiale raccolto, già dall’inizio del conflitto, è spesso monotono, affidato all’inventiva dei singoli individui, in ogni caso poco interessante quando viene proposto nelle sale tra uno spettacolo ed un altro. Allora già nel 1916 l’esigenza di proporre pellicole di maggiore impatto e di sicuro effetto propagandistico risulta in una riduzione dei tempi di proiezione – da lunghi documentari si passa a studiatissimi cinegiornali – e alla creazione di organi statali appositi alla produzione di tali opere 1. Apripista in questo campo è l’Italia in cui le case di produzione Cines, Pathé Italia e Comerio, addestratesi sui campi della guerra di Libia, producono già materiale valido, come le celebri immagini dei soldati sulle Alpi. In particolare la Comerio produce documentari di attualità a soggetto, in cui la finzione scenica si inserisce tra le immagini di guerra. Nel 1917 tale attività rientra sotto il controllo della SCE, sezione cinematografica direttamente gestita dall’Ufficio Stampa del Comando Supremo italiano. Anche Inghilterra, Francia e Stati Uniti avevano già un discreto mercato di “film di guerra”. In Germania per rispondere al ritardo su questo “fronte” il 13 Gennaio 1917 viene formalizzata la nascita della BUFA (Bild und Filmamt), anch’essa sotto il diretto controllo del Comando Supremo tedesco, società che contribuirà alla nascita della ben più nota UFA nel dicembre dello stesso anno, in cui confluirà dopo il conflitto mondiale.
È in questo contesto che nel 1916 nei pressi del fronte di Brest-Litowsk assieme ad alcuni attori che resteranno più o meno attivi nel cinema tedesco (Heinrich Schroth, Dagny Servaes, Ernst Hofmann, Käthe Haack e Adolf Klein) vengono chiamati Paul Leni e Carl Hoffmann. I due cineasti hanno la stessa età, hanno qualche esperienza nel cinema alle spalle – Hoffmann ha curato la fotografia della serie Homunculus di Otto Rippert – ed un futuro tra i grandi nomi del cinema tedesco. Dietro la macchina da presa per capolavori come Faust, Die Nibelungen, Dr. Mabuse, Varieté, la maestria di Hoffmann diverrà uno dei marchi riconoscibili del cinema di Weimar. In Das tagebuch des Dr. Hart possiamo ammirare il suo talento già ben presente nonostante il tema limitato del film.
Il soggetto del film, scritto da Hans Brennert, ruota attorno al Dott. Robert Hart, medico tedesco. In una delle sue visite Hart fa la conoscenza di Ursula von Hohenau, con la quale resta in contatto una volta assunto come dottore militare sul fronte orientale. La notizia dello scoppio delle ostilità lo sorprende ad una festa aristocratica dove coloro con i quali siede al tavolo si ritrovano a far parte delle opposte fazioni, in particolare il Conte Bronislaw Krascinsky, polacco. Hart e Krascinsky sono entrambi affascinati dalla Contessa Jadwiga, figlia del Conte Bransky, proprietario di un castello che si trova proprio sulla linea militare lungo la quale i tedeschi stanno avanzando. Hart viene ferito in battaglia e portato al castello di Bransky dove i tedeschi hanno stanziato un ospedale da campo. Qui ritrova sia Jadwiga che assiste il padre anziano che non vuole spostarsi dalle sue proprietà, sia Ursula che si è impegnata come infermiera volontaria. I tedeschi accolgono nell’ospedale feriti di qualsiasi schieramento, tra questi arriva Bronislaw, che Hart aveva già soccorso sul campo ma che alla prima occasione era fuggito senza alcuna gratitudine. Hart accetta ugualmente di operarlo su insistenti preghiere di Jadwiga.L’operazione va a buon fine e i cinque personaggi principali si ritrovano rappacificati presso il fuoco di un camino mentre il Dott. Hart legge il suo diario: è il 5 novembre 1916, giorno in cui Germania e Austria proclamano il Regno di Polonia. Tutta la vicenda svela così il suo significato simbolico di propaganda: Hart è la Germania generosa ed umana, Ursula può essere vista come l’Austria, Jadwiga è la parte del popolo polacco filotedesco e Bronislaw rappresenta la restante parte filorussa che poteva ormai ritenere l’occupazione tedesca esclusivamente a vantaggio della Polonia.
La prima proiezione per ritardi di produzione e motivi di censura si tenne il 21 Gennaio 1918 a Berlino, quasi a un anno e mezzo dalle riprese ma questa propaganda così discreta ricevette un plauso dai commentatori dell’epoca. «Il Diario del Dr. Hart di Hans Brennert dovrebbe essere soprattutto un film di propaganda; avrebbe dovuto mostrarci solamente la bontà del lavoro del medico sul campo (…) ma nessuno ha la minima sensazione che si stia facendo della propaganda. (…) l’attenzione dello spettatore è tenuta viva da un ottimo intrecciarsi di azione e “lezione”.»2 «Le singole immagini si intrecciano in modo molto abile, l’azione è certamente molto coinvolgente. (…) Paul Leni come regista ha qui realizzato immagini costantemente buone e scenografie che meritano riconoscimento.»3
Certo lo spettatore moderno non vi ritrova lo stesso coinvolgimento, ma per quanto riguarda le qualità fotografiche forse nulla si può togliere a quelle prime impressioni.
Le tecniche di montaggio ed il linguaggio che ne verrà fuori non sono ancora strumenti raffinati nel 1916, ma Leni ed Hoffmann sfruttano le capacità della pellicola ortocromatica e mettono in scena quadri molto elaborati, con personaggi e oggetti disposti su più livelli, e un continuo dinamismo/spostamento tra questi livelli rende viva ogni scena. Prendiamo ad esempio un episodio alla metà circa del film quando un soldato a cavallo porta una lettera al Dr. Hart. Qualche anno più tardi questa scena sarebbe stata realizzata con più immagini montate, più piani ravvicinati, magari un campo/controcampo. Qui Leni fa arrivare il cavaliere dal fondo della pianura alle spalle del Dott. Hart, lo si vede già apparire nella scena precedente, ma non c’è stacco, il cavaliere e la lettera stanno davvero “arrivando”, e l’effetto di realismo è strabiliante.
Se infatti quest’opera è nata anche come documentario e vi ritroviamo «un sorprendente realismo della vita quotidiana dei militari»4 la sensazione di realtà non si limita a tali scene (il rancio, la colonna in marcia, il vaccino contro il vaiolo) ma è avvertita anche in tutte le scene di finzione. L’interpretazione è misuratissima, nulla eccede la naturalezza dei gesti. Finanche le inquadrature di biglietti, lettere, telegrammi, non sono statiche, ma le dita che li tengono in mano si muovono, spostano la carta, come accadrebbe nella realtà, ed è questo un particolare che finora non ho visto altrove. L’unico personaggio che “mostra” una recitazione appena sopra le righe è Jadwiga, ma è suo il ruolo più drammatico del film, quello a cui sono affidate le emozioni più intense. Il primo piano in cui riconosce Bronislaw all’arrivo al castello in barella, che ricorda una di quelle inquadrature che tanta fortuna daranno al cinema sovietico, è emblematico. Così come l’ansiosa attesa durante l’operazione di Bronsilaw, in cui scivola vicino l’ingresso della stanza in cui il Dott. Hart sta operando ed il suo vestito bianco quasi abbaglia sul portone scuro. O il momento dell’assalto tedesco al castello, dove al suono di bombe e fucili Jadwiga si dispera sull’uscio, in uno splendido controluce che ne disegna la sagoma e in fondo, davanti a lei, la battaglia.
Dicevamo dello scarso utilizzo in funzione narrativa del montaggio, ma laddove presente denota una già forte consapevolezza dell’espressività dell’alternanza dei diversi piani, prendiamo due scene in particolare. Jadwiga entra in un salotto accompagnando a braccetto il padre, la macchina da presa si allontana in un carrello all’indietro che esplora l’ambiente e allo stesso tempo affolla la scena, Leni passa ad un piano a mezza figura su Jadwiga e Bronsilaw che approfittano della distrazione degli altri e si scambiano parole e sguardi furtivi, poi si ripassa al carrello. Con un breve stacco abbiamo capito molto del rapporto tra i due, forte ma non molto ben accetto in pubblico – ricordiamo che rappresentano le due fazioni opposte del popolo polacco. La seconda scena è immediatamente successiva alla notizia dello scoppio delle ostilità, di nuovo ad un campo lungo in cui viene mostrata la grande confusione di giornali, notizie, persone che corrono, con alcuni piani ravvicinati si isolano i personaggi richiamati dalle proprie ambasciate, riportati dalla realtà alla loro dimensione individuale, separati dalle nazionalità.
Già in questo primissimo film, prodotto in situazioni così particolari, possiamo trovare tecniche e stilemi, che il Leni più esperto utilizzerà a pieno, qui appena accennati e suggeriti. Le riprese girate da altezze inconsuete, sia dall’alto che dal basso e da angolazioni mai banali, preferendo l’obliquo al frontale. La minuziosa qualità compositiva delle immagini, in cui si rivela tutto il suo animo di pittore e grafico. L’inserimento di elementi comico-parodistici che squilibrano il tono generale del film – si pensi agli intermezzi quasi farseschi in film come The cat and the canary (1927), The last warning (1929) ma anche nel successivo Dornröschen (1917). L’utilizzo di titoli non statici ai quali viene aggiunto un ulteriore livello di significato attraverso particolari effetti grafici – qui ad esempio con il titolo ALARM! che si va ingrandendo.
Le scenografie ed i costumi, suo elemento principe e suo distintivo, che in Tagebuch vengono esaltati nell’episodio del vecchio Padje il cui pozzo è stato avvelenato dai cosacchi in ritirata. Elementi che saranno ricorrenti nel cinema di Weimar e che provengono dal teatro di Reinhardt, come le luci dall’esterno, proiettate attraverso grate o finestre, in momenti di particolare intensità, quelle luci che «più che fotografare l’azione vogliono catturare lo spirito»5. Le ombre di comparse dietro vetri smerigliati per indicare un altrove, ampliando lo spazio della scena – usato qui ancor prima che nel magistrale Hintertreppe (1921).
E in ultimo il tratto che qui forse appare più marcato e che sarà una costante in Leni: il tendere a racchiudere l’inquadratura in una cornice, in ulteriori frammentazioni, come un mascherino tra chi vede e l’azione, una separazione che ha le sue radici ancora nella sua formazione teatrale; oltre a porte, aperture, finestre, volte, è infatti frequentissima la presenza di teli o tendaggi che richiamano direttamente il sipario. Se infatti Leni è «abilissimo nel fuggire il teatro filmato» le sue forme, il suo pensare saranno sempre, più che cinematografiche, da palcoscenico.
Il film, conservato alla Deutsche Kinemathek, è stato reso visibile al link http://www.filmportal.de/en/node/47811/video/1219952
Note: 1 Per farsi un’idea sul tipo di materiale girato durante la prima guerra mondiale si può trovare un’amplissima selezione al sito di questo interessante progetto europeo http://www.europeanfilmgateway.eu/content/efg1914-project 2 Argus in Der Kinematograph no. 577, 23 Gennaio 1918 3 Lichtbild-Bühne, Nr. 4, 26 Gennaio1918 4 Sabine Hake, German National Cinema , London, 2002 5 R. Kurtz, Expressionismus und Film, Berlin 1926 (trad. it. Milano 1981)