Comincio con ringraziare di cuore Patrizia Deabate che mi ha dato la possibilità di leggere questo libro. Come sapete non sono uno studioso di cinema ma ho comunque l’impostazione da storico. Come tale, mi sono trovato di fronte a una ricerca veramente ben costruita, figlia di una ricerca bibliografica e documentaria molto ricca. Troverete in questo articolo una recensione che spero possa chiarirvi in breve il contenuto del libro e spingervi eventualmente all’acquisto o la consultazione in biblioteca. Premetto che il cinema muto viene toccato in parte ma che protagonisti assoluti sono due autori a tutto tondo che hanno saputo muoversi tra le arti, cinema incluso. Un’altrettanta grande ecletticità, almeno a livello di fruizione, mi sembra di ritrovarla nell’autrice che, con le citazioni e i riferimenti, si muove agevolmente negli ambiti più differenti passando da Platone a Marinetti, dalla Bibbia alle Flappers e al cinema.
Con Il misterioso caso del “Benjamin Button” da Torino a Hollywood, Patrizia Deabate presenta un suggestivo parallelismo tra Nino Oxilia e Francis Scott Fitzgerald, due personalità poliedriche e tra loro legate più o meno indirettamente. Tutto parte da una semplice domanda: ha forse Fitzgerald preso come ispirazione del suo Benjamin Button la Storia di Pipino nato vecchio e morto bambino (1911) di Giulio Gianelli? Non sarebbe cosa straordinario visto che l’autore pare fosse solito prendere a piene mani ispirazioni da quello che lo circondava. A questo si uniscono una visita romana dell’artista americano, avvenuta nel 1921 nonché del suo legame, ribadito anche con alcuni romanzi, con la capitale italiana e, in generale, con il Vaticano. Quest’ultimo, in particolare, venne alimentato e raffozato dal suo rapporto con il mentore Padre Sigourney Fay (a cui dedicò Di qua dal paradiso). Alla ricerca di una possibile risposta ecco però che la Deabate si ritrova di fronte ad analogie sempre più insistenti tra le vite di Fitzgerand e di Nino Oxilia. La vita del nostro connazionale, lo sappiamo, terminò tragicamente durante il primo conflitto bellico lasciando incompiuto un percorso artistico che sarebbe stato sicuramente interessante vista la carica innovatrice e per certi versi sperimentale del suo lavoro. Oggi il suo nome è dimenticato, forse anche a causa della paternità, assieme a Giuseppe Blanc, di quello che sarebbe poi diventato, con le modifiche apportate da Salvator Gotta, l’inno “giovinezza”. Moglie dell’artista era Maria Jacobini, incarnazione della donna moderna ed emancipata, che non vide frenata la sua carriera durante la relazione con Oxilia il quale gli permise, come ben nota la Deabate, di girare film con i registi più disparati. Dall’altra parte abbiamo Fitzgerald che, dove Oxilia era riuscito, stava invece fallendo: il suo legame con il cinema, specie come sceneggiatore, non era infatti soddisfacente, non aveva lo stesso fascino della sua controparte italica per le donne e, ultimo ma non ultimo, non era morto giovane valorosamente in battaglia come invece sperava. Anche la sua vita sentimentale rappresentò sicuramente un motivo di sofferenza perché la sua storia con Zelda Sayre fu travagliata: distrutta dalla schizofrenia di lei e dall’arrivo di Lois Moran con cui ebbe una relazione. Saranno i problemi cardiaci a porre fine all’esistenza dell’autore americano, problemi di salute aggravati probabilmente dalle preoccupazioni in ambito personale.
L’eredità di Fitzgerald, nonostante la morte prematura, è ampia e apprezzata, ma la parte maggiormente analizzata dalla Deabate è quella romanzesca dove si nasconderebbe il legame più forte con Oxilia. Questo legame sarebbe da ritrovare nel personaggio di Dick che, seppur con cognomi differenti e in modi differenti, si ritrova in tre romanzi estremamente celebri: This Side of Paradise (it. Di qua dal Paradiso), The Beautiful and Damned (it. Belli e dannati) e Tender Is the Night (it. Tenera è la notte). Qui la mia capacità di seguire è un po’ meno forte perché, ammetto, non ho letto nessuno dei tre e quindi riporto quanto detto dalla Deabate. L’analogia più grande si realizzerebbe in Tenera è la notte, dove Dick è il protagonista e sorta di alter ego dell’autore ma arricchitto da quel fascino che caratterizzava Nino Oxilia e che invece mancavano all’autore americano. La storia vede Dick sfruttato e svuotato dalla moglie malata che, una volta ripresasi, si getta tra le braccia di un altro lasciando il marito senza nulla in mano. La Deabate vede qui un’analogia con il destino di Oxilia, la cui opera più celebre è stata presa postuma e trasformata in un simbolo senza la possibilità che lui potesse dare o negare il suo consenso.
Ma perché proprio Oxilia? La Deabate individua tante analogie tra i due personaggi sia a livello biografico che di interessi in generale e che vi invito a ritrovare all’interno del volume. Tra i più interessanti la ricercatrice riporta una possibile assunsione di Oxilia a simbolo per Fitzgerald perché rappresentatava, con la sua vita, il culmine dell’ideale che l’artista aveva per la giovinezza (a tal proposito era anche stato autore di “Addio giovinezza!“) nonché di quelll’ideale di poeta soldato che tanto apprezzava. Ricordiamolo, l’autore italiano era morto giovane, in guerra, mentre stava riscuotendo un grande successo. Ma in che modo Fitzgerald sarebbe venuto a conoscenza di Oxilia e delle sue vicende? Sfortunatamente mancano testimonianze dirette di questo legame ma la Deabate ricostruisce una serie di possibili incontri. Forse la conoscenza delle vicende di Oxilia passò a Fitzgerald tramite padre Fay. Fay potrebbe essere venuto a conoscenza di Maria Jacobini e, successivamente, di Nino Oxilia, grazie al successo che ebbe la sua Giovanna d’Arco negli Stati Uniti tra il 1913 e il 1914. Un altro possibile incontro potrebbe essere avvenuto dopo che Padre Fay era andato in Vaticano. Questo soggiorno italiano avvenne tra il 1917, anno della morte di Oxilia, e il 1918. L’uomo potrebbe aver preso conoscenza della triste fine dell’artista italiano e potrebbe averlo raccontato dunque a Fitzgerald. Altra cosa che la Deabate sottolinea è che in quell’occasione Fay venne nominato Monsignore da Benedetto XV, papa molto vicino alla famiglia Jacobini, cosa che avrebbe potuto permettere all’uomo di conoscere le vicende di Oxilia. Ma qui parliamo, come detto sopra, di suggestioni perché, sebbene si abbiano di Fitzgerald tantissime corrispondenze, vi è una grandissima lacuna su quelle avute con il suo mentore. Se si toglie l’intercessione di Padre Fay, Fitzgerald potrebbe essersi imbattutto in Oxilia in maniera anche differente e più “Personale”. Se davvero egli si ispirò alla favola di Gianelli per il suo Benjamin Button, potrebbe aver approfondito il filone crepuscolare a cui è possibile legare parte della produzione di Oxilia. In una sezione molto approfondita e che vi invito a recupare, la Deabate individua alcuni possibili parallelismi tra frasi di Fitzgerald e versi dell’autore italiano. Sono frutto di un caso o di una lettura di almeno alcune delle poesie oxiliane? Vi invito a leggere il libro per farvi un’idea più precisa.
Questa ricerca, vincitrice del premio Acqui Storia 2019 per la sezione Tesi di Laurea/Saggio storico, è testimonianza di una cura documentaria e di una conoscenza delle vicende oxiliane portata avanti per tanti anni anche grazie al supporto del professor Piero Cazzola, deceduto nel 2015, e che ha permesso alla Deabate di accedere al fondo oxiliano (il Prof. Cazzola era figlio di quell’Ernesto Cazzola che fu amico fraterno di Oxilia). Il grande pregio di questa ricerca, a mio avviso, è quello di riuscire a dipingere un contesto storico-culturale estremamente vivido. Sul concordare o meno sulla tesi portante del libro, come faccio spesso con i miei studenti, sospendo il giudizio per dare al lettore l’ultima parola. Una delle caratteristiche del libro è proprio questa: permettere al lettore di seguire la strada delineata dall’autrice per arrivare, infine, a tirare le proprie conclusioni.