Spinto dall’entusiasmo, dopo la visione di El negro que tenía el alma blanca (1927), ho scelto di cercare di approfondire, per quanto possibile, la filmografia muta di Benito Perojo anche per cercare di capire se la qualità visiva e le interessanti scelte effettuate per girare quel film fossero un unicum oppure se facessero parte dello spirito del regista. Due sono i film che sono riuscito a recuperare e quello in condizioni migliori è La Condesa María (1928) che, se a livello contenutistico non è certo all’altezza del suo film precedente, non ha assolutamente deluso le mie aspettative. Ma non voglio assolutamente dire le cose prima del dovuto, quindi passiamo alla trama e poi all’analisi del film:
Louis/Luis de Las Torrès (José Nieto), figlio della nota Contessa Maria (Rosario Pino), si innamora perdutamente della giovane Rosario (Sandra Milowanoff) che non ha però nobili origini. Quest’ultima è però dotata di grande umiltà tanto che quando scopre la vera origine di Louis, decide di lasciarlo per non disonorarlo. Ma il destino vuole altro e i due, realmente innamorati, si avvicinano nuovamente. La loro felicità è però destinata a terminare presto perché il giovane viene chiamato alle armi. Sebbene non si siano sposati, dall’unione tra i due nasce anche un bambino che, durante l’attesa per il ritorno dell’amato, Rosario tenta di crescere con le sue forze. Purtroppo il tempo passa inesorabile e di Louis non giungono più notizi e viene dato per disperso o, peggio ancora, per morto. Distrutta Rosario decide di tentare l’ultima e disperata mossa andando dalla Contessa e rivelando l’accaduto ma inventando un matrimonio mai avvenuto. La contessa accetta di buon grado l’arrivo del nipote suscitando le ire dei nipoti Manolo (Valentin Parera), un donnaiolo squattrinato, e Clotilde (Andrée Standart), che aspira ad ereditare e vivere nel lusso. I due decidono di ordire un piano per screditare Rosario agli occhi della contessa ma… non è necessario: primo perché Rosario ha rivelato di non essersi sposata con Louis venendo comunque perdonata; secondo perché il giovane…riappare! Era infatti stato fatto prigioniero ma era riuscito, in maniera rocambolesca, a ritornare a casa. I due giovani possono quindi vivere felici e contenti e la nonna può festeggiare sia il ritrovamento del figlio creduto morto che la presenza del suo amato nipotino.
Come in tanti film di aree periferiche il film mostra alcuni mix di genere a volte quasi inopportuni ma qui, devo dire, piuttosto dosati. Al dramma principale della perdita di una persona cara, ecco inserirsi, con il personaggio di Manolo, una maschera comica che mette in scena il classico fanfarone squattrinato e approfittatore. Se Manolo è un personaggio sui generis per la sua comicità, la contessa Maria lo è invece per la sua apertura mentale. Nel finale, come visto, si scopre infatti che lei sapeva benissimo che il nipote era nato fuori dal matrimonio ma non per questo aveva cacciato la sua povera “nuora” accettando l’unione extraconiugale pur essendo di nobile stirpe. In questo caso ci ritroviamo di fronte a una donna forte e anticonvenzionale capace di superare a pieno gli stereotipi dell’epoca, cosa che El negro que tenía el alma blanca non era riuscito a fare.
Passiamo alla fotografia e alle trovate registiche. Prima di tutto bisogna segnalare la forte componente documentaristica del film specie nella sezione dedicata alla guerra di Louis dove si alternano scene di massa generalmente ben girate, probabili immagini d’archivio e scene in cui compare il solo protagonista. La scena più strana, che mi ha ricordato molto una parte de Le Fantôme du Moulin-Rouge di René Clair (1925), è quella in cui, sovrapposto ad una scena di un attacco a cavallo, si vede il protagonista a piedi con una sorta di aura bianca nell’atto forse di dare ordini. Questo forse è uno dei pochi casi in cui la sperimentazione non ha dato i frutti sperati ma per il resto si ritrovano, a mio avviso, alcune scene estremamente ben costruite, anche nella loro semplicità, e piccole trovate interessanti.
Ci aiutano qui, come sempre, le gif. La prima si trova proprio in apertura del film con questa camicia fantasma che si rivela poi essere quella di Manolo che la sta indossando. La seconda mi ha colpito perché sembra mostrare una passione per le riprese nello specchietto da parte del regista: in El negro que tenía el alma blanca Peter si guardava nello specchio per poi constatare quanto il colore della sua pelle fosse il reale intralcio tra lui e il coronamento dell’amore. Qui troviamo tante ragazze intente a truccarsi quando fa la sua comparsa alla festa il buon Louis. Terza e ultima gif dedicata a una delle scene più interessanti: Manolo e Clotilde stanno pensando a un piano per sbarazzarsi di Rosario e dell’erede non desiderato e la macchina da presa li segue mentre vanno avanti e indietro. Sembrerebbe una cosa banale, ma il fatto di aggiungere un secondo personaggio rende ancora più mobile e interessante la ripresa che segue ora uno e ora l’altro.
Che dire? Il film ha una trama non esattamente innovativa e accattivante ma non era certo questo il motivo per cui avevo scelto di vederlo. Se avete visto anche voi l’altro film da lui diretto vi direi di fare un tentativo per vedere in che modo, anche in assenza di Segundo de Chomón, Perojo ha saputo dare il suo tocco personale a una vicenda così mediocre.