Siamo nel 1921 ed Henri Desfontaines inizia ad allontanarsi sempre più dai film di guerra e/o di propaganda nazionale per spostarsi verso l’intrattenimento più puro lo porteranno poi ad essere un ottimo regista di Serial e film investigativi. Nella sua carriera Chichinette et Cie è un film molto interessante perché mostra una capacità di confezionare un film comico e mondano davvero ben costruito, nonostante qualche sbavatura. Ancora una volta, a partire da un’opera originale questa volta a cura di Pierre Custot, Desfontaines cura anche l’adattamento cercando di rendere più cinematografica la vicenda. Protagonista Blanche Montel, non proprio una delle grandi dive cinematografiche ma che ben si adatta allo stile “my fair lady” da brutto anatroccolo a oggetto del desiderio.
La trama è la seguente: Louise Bauchi detta Chichinette (Blanche Montel) vive con una zia bisbetica e lavora in un negozio di cappelli come commessa tuttofare. Un giorno, dovendo fare una consegna al celebre locale Petronille, si ritrova in mezzo a una bizzarra combriccola di borghesi e nobili semi-decaduti che decidono di trasformarla, in un anno, da “ragazza di strada” a donna sofisticata. Il gruppo è composto da: Maurice de Beridic il “Principe Carton” (Charles Lorrain), il notaio Grosellier (Jules Mondos), l’architetto Perdran (Paul Ollivier) e Philippe de Crailles (Jean Devalde). Quest’ultimo, che deve partire per la Spagna proprio il giorno dopo, incontra subito il favore di Chichinette che decide di darsi da fare nel raggiungere l’obbiettivo quasi solo per far piacere a lui. Si viene a creare una strana situazione ad intreccio dove tutti vanno dietro a Chichinette che pensa solo a Philippe il quale si trova però felicemente in Spagna tra le braccia di Carmela (Éva Raynal), una ballerina di Siviglia. Ma i soldi presto finiscono e Philippe, che dipende economicamente dalla Nonna (Jeanne Grumbach), deve tornare a casa. Fortunatamente Carmela ottiene un ingaggio in un teatro parigino e può venire anch’essa. Ma nella casa parigina il rapporto con la focosa e gelosa spagnola non è esattamente idilliaco e, a peggiorare le cose, vi è il gap linguistico che non permette una buona comunicazione. Così Philippe e Chichinette di riavvicinano e addirittura si ritrovano a vivere nella stessa casa, pur se in stanze separate. La cosa giunge alle orecchie della nonna che decide, dopo aver consultato domestici e amici dei due, di dare il suo benestare al matrimonio.
Chichinette è un film davvero molto carino e irriverente che porta avanti un personaggio inizialmente scanzonato ma che poi, con l’evoluzione della vicenda e il suo “imborghesimento”, perde un po’ questa sua caratteristica per trasferirsi, invece, nella macchietta della donna debole e vittima del suo innamoramento impossibile. Mi pare chiaro che ci sia un’influenza dei film americani dell’epoca e forse c’era anche un tentativo, non riuscito, di fare di Blanche Montel una sorta di maschera femminile comica e scanzonata. Il film presenta anche qualche buco di trama, tra tutti non si capisce bene che fine faccia la spagnola Carmela che, vista qualche incomprensione che si sviluppa però in pochi minuti, decide di andare al teatro dove si esibirà e da lì non farà più ritorno. Può starci, direte voi, peccato che fino a pochi secondi prima minacciasse di uccidere con le sue mani possibili amanti di Philippe.
Il personaggio forse più interessante è quello della nonna, la vera capa della famiglia Maufrignon-Lancourt, la quale con bonaria ma ragionata benevolenza, decide le sorti e la felicità di suo nipote Philippe. Le richieste di denaro così come quella del matrimonio con Chichinette, anche se fatte con una certa dose di sfacciataggine o con mezzi inganni, vengono comprese dalla donna che però le asseconda per motivi che reputa validi: il viaggio in Spagna nella speranza che stia lontano dal Petronille mentre il matrimonio perché Chichinette è l’unica che sembra essere riuscita a farlo desistere da una vita di farfallone. La nonna vede e conosce tutto e cerca, sostanzialmente, di fare il bene del nipote spendaccione in modo tale che possa ravvedersi.
Oggi il film viene ricordato solo per essere stato l’esordio di Simone Mareuil, volto immortale di Un Chien Andalou, ma bisogna dire che oltre a questo c’è molto di più. Perdersi nei GP Archives è un modo per riscoprire filmografie di registi e attori di cui si trova poco e su Desfontaines ci sarebbe anche altro che però non è stato condiviso (vedi Poker d’as del 1928). In questo film il regista mostra un’ottima capacità di strutturare un film tra elementi comici e sentimentali con giochi di inquadrature e ottime composizioni. Ritroviamo sia una parodia della borghesia ma anche del classico stereotipo della donna di Siviglia che veniva proposta e riproposta nel film dell’epoca. Carmela è un personaggio macchiettistico, quasi ridicolo e l’ideale borghese di avere una focosa donna di Siviglia si rompe nel momento in cui i due non riescono neanche a comunicarsi le cose basilari senza l’ausilio di un dizionarietto.
Che dire? Consiglio di recuperare il film se potete nella speranza magari che possa presto comparire anche su Henri in versione restaurata o magari in un cofanetto dedicato a Desfontaines, un po’ come accaduto di recente con Duvivier.