L’uomo che ride (The Man Who Laughs) – Paul Leni (1928)

A un anno dal suo trasferimento in america Paul Leni ci regala forse il suo capolavoro, di certo il film più bello della sua breve esperienza nel nuovo mondo che si interromperà appena un anno dopo a causa di una devastante leucemia. Questo film con il suo forte impatto visivo ha stuzzicato l’immaginario delle generazioni successive tanto da dar vita a uno dei più noti cattivi della storia dei fumetti, Joker di Batman. Ma la storia parte da lontano, da un drammatico romanzo di Victor Hugo, L’homme qui rit per l’appunto, uno degli ultimi scritti dall’autore francese e pubblicato nel 1869.

Semplificando il lungo romanzo d’oltralpe, lo sceneggiatore (Grubb Alexander) ci mette di fronte alla cattura per tradimento di Lord Clancharlie da parte degli uomini del malvagio Re Giacomo II di Inghilterra (tra cui spicca l’astuto buffone di corte Barkilphedro interpretato da uno splendido Brandon Hurst). Prima di essere ucciso, chiuso in un sarcofago ripieno di punte arrugginite (fine che Leni rappresenta con una grande carica emotiva ma anche con la delicatezza che caratterizzava i muti), il ribelle viene a sapere che il figlio Gwynplaine è stato venduto a degli zingari noti per le loro atrocità. Da essi il piccolo è stato sfigurato e costretto a portare un eterno sorriso. La scena si sposta e veniamo a sapere che un editto ha reso questi zingari fuori legge i quali, pur di salvare la loro pelle, poco si curano di portare con loro il piccolo che, infreddolito ed affamato, inizia un cammino che lo porterà a vedere le peggiori atrocità: prima un gruppo di uomini impiccati, poi la fame più nera. Proprio in questo contesto incontrerà una donna, morta per il freddo e gli stenti, con in braccio una bambina ancora viva: Dea. I due diventeranno inseparabile e con lei sotto la giacca Gwynplaine arriva alla casa mobile di Ursus (interpretato dal grande caratterista Cesare Gravina) e del suo cane. L’uomo scopre che la piccola è non vedente e viene finalmente rivelata lo sfregio del bambino.

Passano 15 anni e Gwynplaine (interpretato da Conrad Veidt, attore ebreo-tedesco che ricordo per la sua interpretazione di Cesare ne “il gabinetto del dottor Caligari“) è diventato adulto così come la bella Dea (Mary Philbin, attrice schiva, nota anche per aver recitato ne “il Fantasma dell’opera” del 25 al fianco di Lon Chaney). Insieme al loro salvatore girano l’Inghilterra mettendo in scena la pièce teatrale dell’Uomo che ride, scritta dal Ursus il cui protagonista principale è ovviamente il nostro Gwynplaine. Ma la routine dei nostri eroi ha purtroppo breve durata. Barkilphedro scopre che il protagonista della pièce il figlio di Lord Clancharlie e lo rivela alla Regina Anna (che ha preso il posto dell’ormai defunto Re Giacomo), stufa delle bravate della sua viziosa sorellastra, la Duchessa Josiana. Proprio lei passa le sue giornate sotto mentite spoglie al circo in compagnia di personaggi non certo raccomandabili. In una delle sue sortite la Duchessa vede l’opera di Gwynplaine e, al contrario di tutti i presenti, non riderà. Colpito dal comportamento di Josiana, il nostro eroe non esiterà a correre da lei quando questa glielo chiederà, abbandonando così la povera Dea che nutre nei suoi confronti un amore sincero.  Nella sua estrema fragilità Gwynplaine ha bisogno di essere amato di una persona che può vedere la sua deformità. Una volta che il giovane è giunto a palazzo la Duchessa riceve un messaggio dalla Regina Anna, all’interno del quale viene a sapere che potrà mantenere il suo patrimonio solo sposando “l’uomo che ride”, ormai riconosciuto come Lord Fermain Clancharlie. Josiana ride istericamente e, sentendosi deriso, Gwynplaine fugge da Ursus e Dea. Poche ore dopo viene però catturato dalle milizie regie, portato in cella e spacciato per morto. Qui ci troviamo di fronte a una delle scene più commoventi del film. Dea non deve sapere niente e Ursus finge di dover fare lo spettacolo anche quel giorno facendo da attore e da pubblico in sala. Ma la finzione durerà poco, il malvagio Barkilphedro farà il suo ingresso nel piccolo teatro annunciando la finta-morte di Gwynplaine e annunciando la messa al bando della compagnia dal Regno Unito. Distrutti dal dolore a questi non resta altro che preparare i bagagli e partire.

(se non volete sapere come va a finire la storia non leggete da qui in poi…)

Nel frattempo il nuovo Lord Fermain Clancharlie viene portato alla Camera dei Lord per l’investitura ufficiale e la ratifica della promessa di matrimonio con la Duchessa Josiana. Ma Gwynplaine si ribella e, tra le risa e lo sdegno della nobiltà, si rifiuta di accettare la volontà della regina e scappa alla ricerca dell’amata Dea e di Ursus (Nel frattempo, in una sequenza altamente drammatica, Dea aveva sfiorato il ricongiungimento entrando, tirata dal cane, nella Camera senza essere notata, ma per colpa del solito Barkilphedro, che approfittando della sua cecità la spinge fuori, lo stratagemma era stato sventato). Il nostro eroe giunge alle porte del circo ma scopre della messa al bando della compagnia. Da qui, protetto dalla folla che lo ha apprezzato e deriso durante i suoi spettacoli, riesce ad arrivare al porto da dove la nave di Ursus e Dea è appena partita. Sarà il cane ha risolvere la situazione, prima indicando a Gwynplaine la posizione della nave, e poi proteggendolo e mettendo fine una volta per tutte alle angherie di Barkilphedro. L’Uomo che ride raggiunge a nuoto la nave dei suoi compagni e finalmente può essere realmente felice tra le braccia delle persone che ama.

Con uno strappo alla versione originale qui abbiamo il finale felice, quando Hugo preferisce quello drammatico e disincantato. Dea, molto debole, muore poco dopo aver riabbracciato il suo Gwynplaine che la seguirà annegandosi nella Manica.

(potete riprendere la lettura da qui…)

Leni ci regala un capolavoro artistico, un gioco di sguardi e di espressioni. Là dove il sorriso eterno del protagonista non può rivelarci i veri sentimenti dell’eroe, sono i movimenti e gli occhi che fanno da padroni. Il regista tedesco ci mostra tutta la debolezza di un ragazzo costretto a crescere e vivere tra lo scherno e il disprezzo altrui, una sorta di preludio a quello che poi saranno i temi tanto cari a Tod Browning con Lo Sconosciuto (The Unknown) prima e Freaks poi. Chissà come sarebbe stato questo film se Lon Chaney avesse potuto interpretare Gwynplaine, ruolo che rifiutò all’ultimo, forse per il troppo lavoro, forse per i problemi dovuti al cancro alla gola che lo accompagnavano da diverso tempo. Magari invece è stato meglio così, Veidt ha interpretata il suo ruolo magistralmente, è riuscito a rendere alla perfezione la debolezza e la forza del proprio personaggio, a giocare con le gestualità e con lo sguardo. Geniali e di forte impatto emotivo le scene in cui si copre la bocca, congelata in un sorriso attraverso dei ganci metallici, per mostrare tutta la tristezza del suo sguardo, lo smarrimento per la derisione, dell’essere giudicati solo per la propria apparenza. L’uomo che ride è una critica sociale, nonché alla classe dirigente tutta, alla differenza abissale, e sempre attuale, tra classi estremamente ricche e quelle più povere. Hugo, forse per prendere le distanze, non avrà faticato ad ambientare questa triste storia nell’odiata Inghilterra, dando poi ad una nave, diretta in Francia, il ruolo di possibile salvatrice dei nostri eroi.

Sono felice di cominciare questa mia piccola avventura con un capolavoro del muto che ha saputo regalare tante emozioni grazie alla sua forte espressività e carica simbolica. Una storia coinvolgente, ricca di scene drammatiche, commoventi ma anche liete. Un racconto introspettivo, che si sofferma sulla psicologia di un personaggio costretto, contro la sua volontà a vivere secondo la volontà degli altri. La storia scivola in 110 minuti che volano sulle note della splendida musica di accompagnamento originale, che permette allo spettatore di entrare al meglio nelle dinamiche sceniche. Un film consigliato a tutti, anche a chi non è solito guardare questo tipo di pellicole.

5 pensieri su “L’uomo che ride (The Man Who Laughs) – Paul Leni (1928)

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  2. Finalmente sono riuscito a vederlo. Lo volevo fare da tanto tempo ma per un motivo o per un altro non riuscivo mai. Un film meraviglioso, c’è poco da aggiungere. Un vero capolavoro.

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