Dopo una breve carriera da attore e da sceneggiatore (in “La chute de la maison Usher” del 1928 di Jean Epstein), Luis Buñuel è finalmente pronto a mettersi dietro la videocamera, forte della collaborazione del suo amico Salvador Dalì, conosciuto all’epoca del suo soggiorno universitario a Madrid. Il due prendono spunto dai movimenti dell’avanguardia surrealista dell’epoca, distanziandosene però dal punto di vista dei contenuti. Buñuel e Dalì, infatti, si distanziano da correnti come quella dadaista, che avevano liberato l’arte da qualsiasi significato, decontestualizzandola, e tentano di presentare, con il loro cortometraggio, un vero e proprio contenuto presentato, però, attraverso una serie di immagini inconsuete e surreali. Bisogna sottolineare come i due artisti seguano fedelmente i principi del manifesto surrealista di André Breton, dando vita ad un racconto in cui sogno e realtà (e potremmo dire anche conscio, inconscio e subconscio) risultano complementari. È difficile riuscire a tratteggiare una trama di questo corto, e ancora più difficile riuscire ad estrapolarne il vero significato.
Il corto si apre con Buñuel che, con un rasoio, taglia a metà l’occhio di una donna (Simone Mareuil). Con questa scena, che risulta scioccante anche adesso, i due artisti spagnoli sembrano voler mostrare al pubblico il ruolo della propria arte surrealista, capace di tagliare di netto tutte le certezze per mostrare il mondo sotto nuovi punti di vista. Attraverso una cronologia surreale, scandita dagli intertitoli, un uomo (Pierre Batcheff) e una donna (sempre Simone Mareuil) mettono in scena le proprie pulsioni erotiche, a volte anche violente. Questo tipo di tematica, che certamente al giorno d’oggi potrebbe non stupire più di tanto, deve essere però contestualizzata all’interno della Francia e, in generale, del mondo Occidentale della fine degli anni Venti per essere compresa a pieno. L’argomento sessuale così esplicito destò, ovviamente, molto scandalo all’epoca della prima proiezione.
Punto cardine del cortometraggio è ovviamente la fotografia, che lascia trasparire dei piccoli quadri surreali. Tra questi il più celebre è forse quello della mano da cui fuoriescono decine di formiche (l’immagine pare venga da un sogno dello stesso Dalì). Un capitolo a parte meriterebbe forse l’aspetto musicale del film. Questo corto, infatti, era principalmente noto con la colonna sonora del 1959 (o 1960 secondo altre fonti), la cosiddetta “versione Tango” con Tristano e Isotta di Wagner, rivista poi nel ’61 sempre dallo stesso Buñuel che la giudicò definitiva e conforme a quella originale del 1929. Nel 1983 Mauricio Kagel, compositore argentino, compose appositamente per Un Chien Andalou una terza versione della colonna sonora. Nel 2003, infine, in occasione dello splendido restauro operato dalla Filmoteca Española sulla base del negativo originale e da copie in nitrato provenienti dalla Cinématèque Française, dalla Cinémathèque Royale de Belgique, dal Museum of Modern Art di New York e dalla stessa Filmoteca Española, venne proposta una quarta edizione audio, con i primi due minuti del film completamente muti, seguendo le indicazioni scritte sulla sceneggiatura originale del corto, probabilmente l’idea originaria di Dalì e Buñuel che però non venne poi seguita al momento del montaggio finale.
Proprio quest’ultima edizione restaurata, in edizione 2 DVD, è quella da me visionata. La qualità audio e video è molto ben curata così come gli extra succulenti. Questa edizione presenta anche sottotitoli in spagnolo, francese ed inglese. Vi lascio con l’estratto relativo alla prima parte del corto, quella del taglio dell’occhio per intenderci, che sconsiglio di vedere a chi particolarmente sensibile. Per questa scena venne utilizzato un occhio di un vitello morto. L’estratto non è tratto dalla versione da me visionata.
Approfondimenti: riuscire a trovare il vero significato di questo film è difficile, per non dire impossibile. In molti ci hanno provato. Tra le tante segnalo l’analisi proposta su cineblog per la rubrica Cine/vision.
ciao yann, vedo che sei sempre attivo….ho visto degli spezzoni di questo film. ma non so più se al museo dali in spagna o nel contesto del museo cocteau a mentone…quando il tempo passa si accmulano tante espeienze ma non sempre stanno ben attaccate e rimangono soltanto ricordi vaghi e evanescenti.
comunqeu cocteau mi pare abbia fatto del cinema mutoo che è visibile al suo museo. forse era anche lui surrealista….certo non bretone….ricordi sempre piè evanescenti. a presto.
per fortuna ho un po’ di articoli di scorta preparati nelle scorse settimane in un periodo di intensa attività. Se non sbaglio l’unico muto di Cocteau è andato perduto, ma forse avevano qualche frammento. L’ipotesi più probabile però è che si trattasse di “Le sang d’un poète” (1930) praticamente muto apparte qualche passaggio.
Grazie dell’intervento! 🙂
Mi piacerebbe visitare il museo di Cocteau, spero di poterlo fare in un prossimo futuro!
Su Dalì a Roma hanno fatto di recente una mostra piccolina ma interessante.
A me piace molto, l’edizione restaurata ha reso finalmente giustizia al film, dopo tante edizioni dove le immagini chiedevano pietà.