Abbandonato Eliot Stannard, Alfred Hitchcock fece un notevole passo in avanti verso quella strada che lo avrebbe fatto diventare ‘il maestro del brivido’. La sceneggiatura di Blackmail venne affidata a Charles Bennet, autore anche dell’opera teatrale, assieme allo stesso Hitch. Del film vennero girate due versione: una muta e una parzialmente sonora, come di uso all’epoca, con meno scene e inquadrature. Eppure, inutile dirlo, la versione sonora ebbe molto più successo di quella muta. Dalla sua affermazione sembra piuttosto scontato dire quale versione preferisse: ‘i film muti sono la forma più pura di cinema’. Non a caso interrogato su quali fossero i suoi dieci film preferiti, Hitchcock, in una vecchia intervista citata da Charles Barr, ne indicò nove muti e solo un sonoro.
La giovane Alice White (Anny Ondra), dopo aver litigato con il suo fidanzato l’agente di Scotland Yard Frank Webber (John Longden), cede alle avance dell’artista Mr. Crewe (Cyril Ritchard) e per ingenuità lo segue fino al suo appartamento. Quando l’artista tenta di violentarla lei, preso un coltello, lo uccide e fugge dall’appartamento. Quando il fidanzato viene mandato ad indagare sul caso trova un guanto della ragazza e lo nasconde credendo che l’omicidio sia avvenuto dopo la visita di Alice. Quando tutto sembra sistemato si presenta improvvisamente uno strano personaggio, Mr. Tracy (Donald Calthrop), che possiede l’altro guanto della ragazza che sostiene di aver trovato proprio nella stanza dove è avvenuto il crimine. In un crescendo di tensione l’uomo inizia a ricattare la coppia in maniera sempre più incalzante. Ma le carte si ribaltano e quando si scopre che Tracy è un pregiudicato, Frank decide di incastrarlo. Inizia così una lunga fuga del ricattatore diventato ora ricattato che termina sul tetto del British Museum con la morte di Tracy, seppur innocente. Nel frattempo però Alice, ignara di quanto sta accadendo al suo ricattatore, decide di andare a confessare l’omicidio. Solo il provvidenziale intervento di Frank sventerà il piano di confessione e risolverà la questione in un delitto perfetto…
Il film è davvero ben costruito e della giusta durata per mantenere alta la tensione. Impossibile non avere dei brividi di emozione nell’assistere a quella che potrebbe essere definita la nascita di tutto (considerando The Lodger come una sosta di fase di gestazione). Hitchcock è abile nel sapere capovolgere la bilancia di tensione che lega la coppia al misterioso Mr. Tracy, e regala infine un incredibile inseguimento dal finale drammatico. Proprio Donald Calthrop è l’attore che maggiormente colpisce per la sua profondità e interpretazione del malvagio ma fragile Tracy, che appena si vede messo con le spalle al muro perde la capacità di ragione e va incontro ad una inevitabile morte. Come già detto per l’articolo su Cinefilia Ritrovata, Micheal Powell sostenne di aver inventato lui il finale alternativo con l’inseguimento al museo, che differisce rispetto alla versione originale dell’opera di Bennett che terminava con la scoperta che nessun omicidio era stato compiuto. Ma sempre Charles Barr ha fatto un paragone interessante per Hitchcock: egli, sostiene lo storico del cinema nella sua lezione sui muti del regista, seppe comportarsi come una spugna in grado di prendere quanto di meglio dai suoi collaboratori e farlo poi suo nel modo migliore. La lezione imparata con Blackmail, insomma, non è mai stata dimenticata da Hitch che ha saputo trarre il meglio da tutte le sue esperienze anche quelle mute purtroppo spesso bistrattate. Un muto da vedere e rivedere anche grazie allo splendido lavoro di restauro operato dal BFI che è riuscita a ridare splendore ad una pellicola incredibile.
Approfondimenti: per maggiore informazioni vi invito a consultare l’articolo presente su Cinefilia Ritrovata.
Ultimamente ho letto la celeberrima intervista ad Hitchcock da parte di Truffaut e, inevitabilmente, sto ripercorrendo tutta la sua filmografia, tra mai visti, già visti e rivisti.
Questa rassegna quindi segue di poco quella avvenuta sui “miei schermi” un mesetto fa. Il bello di seguire cronologicamente la sua carriera sta nel vedere progressi, anche minimi, ma sempre presenti, quasi inesorabili, di film in film. Blackmail (di cui ho visto la versione sonora) forse proprio perché sta al confine della tecnica del muto e la nuova tecnica del sonoro – che a suo parere allontanava il cinema dal cinema perché lo costringeva ad assomigliare al teatro – è quello più riuscito, a mio parere, se si considera la sua opera fino al 1929. Ogni scena ha un equilibrio impressionante, tutto è perfettamente come deve essere, sembra il destino nella tragedia greca! Appare poi sempre più visibile il rapporto tra personaggio e luogo circostante che col tempo si farà sempre più sottile e parte attiva del film. L’ambiente saturo e vivo del negozio della famiglia White contro l’appartamento spoglio di Mr.Crewe. Non c’è un solo gesto che risulti superfluo, che non “costruisca” il film e la trama. A volte viene da pensare che i film dovrebbero essere così: nessuna divagazione, nessuna nota a margine: la pura e semplice azione.
Peccato per il finale che se fosse stato secondo le intenzioni avrebbe, forse, reso perfetto il film.
Aggiungo che pur, se così si può dire, contestando il sonoro Hitchcock già dimostra di saperlo usare e anche ottimamente. La scena del mattino successivo all’omicidio con la signora ospite del negozio che parla di “coltello … coltello … coltello” con il resto del dialogo lasciato ad un volume appena percettibile, è per me una lezione di cinema! Forse dovrei vedere anche la versione muta a questo punto.