La sorridente signora Beudet (La Souriante Madame Beudet) – Germaine Dulac (1922)

Madame Beudet (Germaine Dermoz) è una donna che vive ormai con fastidio e sofferenza il proprio matrimonio con il Signor Beudet (Alexandre Arquillière). La vita di coppia si esaurisce in piccoli dispetti e pantomime quotidiane: un vaso spostato e rispostato secondo il gusto di uno o dell’altro, un pianoforte suonato allo sfinimento, un finto suicidio inscenato con una pistola priva di colpi. Proprio quest’ultima darà il via a un moto di ribellione da parte della donna che metterà i colpi nell’arma nella speranza che il marito possa finalmente farla finita liberandola da una sofferenza che è diventata un’ossessione. Ironia della sorte sarà proprio la Signora Beudet a ricevere quasi il colpo di pistola in un moto di rabbia del marito che, in un finale ancora più inquietante e oppressivo, equivocherà. Nella sua menta la moglie non voleva ucciderlo ma voleva essere uccisa: “Volevi dunque ucciderti? Come avrei potuto vivere senza di te?”. Segue un abbraccio da parte del marito ma la macchina da presa si sofferma sullo sguardo vuoto della donna che vede davanti a sé altri anni di sofferenze e vessazioni. Sul fondo, in uno specchio, ecco apparire delle marionette e la scritta “teatro”. Lo spettacolo è finito!

Come in L’Invitation au voyage (1927), di cui abbiamo parlato il mese scorso, troviamo una Germaine Dulac che sperimenta giocando con le immagini per dare vita ai pensieri, le fantasie e le ossessioni de personaggi, in particolare della Signora Beudet. Per rendere più vera la disperazione e vessazione della protagonista ecco la macchina da presa soffermarsi sulla donna con primi piani. Grandissima è l’attenzione ai particolari che contribuiscono a fornire maggiore profondità ai personaggi e alla narrazione.

Il film viene generalmente considerato il primo film femminista perché Dulac cerca di raccontare, in maniera anche satirica, le problematiche e la noia delle mogli dei commercianti borghesi di provincia. Il fatto stesso di raccontare la vicenda dal punto di vista femminile è certamente una novità perché nel contesto contemporaneo il protagonista era generalmente un uomo o, nel caso di protagoniste femminili, si raccontava generalmente l’innamoramento o la vedovanza.

Tra le scene più belle del film ci sono certamente il sogno di fuga tra le nuvole leggendo una rivista e il momento in cui si vede lo spostamento del vaso. Le due Gif finali rappresentano invece l’ossessione della Signora Beudet che ormai vede il marito ovunque e viene disturbata da ogni elemento della sua triste routine. La più bella ed evocativa comunque resta quella proposta sia come screenshot che come “locandina” della povera donna che si pettina tristemente con tre specchi a catturarne il mal di vivere. Bisogna comunque dire che il suo, più che un desiderio di terminare la propria vita, è più una voglia di fuggire altrove ed essere felice.

Per chi ama il cinema sperimentale e ancor più le produzioni di Dulac, questo è un cortometraggio che merita di essere visto e apprezzato per i suoi elementi innovativi e la sua capacità di raggiungere i sentimenti dello spettatore grazie alla sperimentazione con le immagini. Più che le parole sono, infatti, proprio le immagini a parlare.

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