Con La Terre prosegue il nostro viaggio alla riscoperta di André Antoine grazie al Cinema Ritrovato. Questo film è, a leggere quello che si scrive su Filma, un “pretesto per le ricerche della verità e del naturale”, ed è forse uno dei film dove l’elemento naturalista si fonde più di tutti con quello verista che più conosciamo legato alla terra e ai possedimenti. Quasi tutto è girato in esterna e si ritrova ancora una volta a girare, al termine di una selezione accurata, delle aree proprio per dare maggiore veridicità possibile alle vicende che sta raccontando. L’area selezionata è quella di Beauce e viene utilizzata quasi totalmente luce naturale. Antoine è un uomo metodico e rigoroso quindi sceglie l’opera di Émile Zola, tra le tante, perché già in passato l’aveva rappresentata a teatro e che probabilmente più di tutte si adattava alla sua idea di cinema. L’adattamento teatrale era del 1902 e aveva ottenuto un buon successo nonostante non fosse più stata riproposta anche, forse, perché “pesava” ancora il coinvolgimento di Zola nell’affare Dreyfus. La vicenda viene, come nel caso de L’Arlésienne, parzialmente modificata per renderla più vicina ai suoi scopi.
Riporto e amplio la trama che ho scritto per Cinefilia Ritrovata:
Fouan (Armand Bour) è un vecchio lavoratore della terra che ha accumulato negli anni e con il duro lavoro tutte le terre coltivabili che è possibile guardare. Ma come Mastro don Gesualdo (1889) questo sacrificio lo ha portato ad essere sostanzialmente odiato e ignorato dai figli (“Gesù Cristo”, Buteau e Fanny, i primi due interpretati da Émile Mylo e Jean Hervé) e dai nipoti. Impossibilitato a coltivare ulteriormente la terra perché troppo anziano decide di dividere la terra dandola ai tre in cambio di una rendita mensile. Questa divisione darà il via alla disgregazione della famiglia di Fouan tra torti, furti, violenze e omicidi. A farne le spese più di tutti sono Jean Macquart (René Alexandre) e la povera Françoise (Germaine Rouer). Il primo, della stirpe dei I Rougon-Macquart, era giunto a Beauce per guadagnare qualche soldo dopo aver lasciato la sua terra natia e a causa del suo amore per la ragazza si ritrova coinvolto in una serie di drammi più grandi di lui.
Françoise pagherà più di tutti il dazio della brutale disgregazione familiare: prima dovrà fronteggiare la ferma opposizione del perfido Buteau al matrimonio e infine, dopo essere scampata a diversi tentativi di violenza, sarà uccisa involontariamente proprio da lui, reo di averla spinta contro una falce mentre, come si capisce più che altro leggendo la storia originale, era incinta. La vicenda non ha lieto fine: i Buteau portano avanti le loro angherie. Resteranno impuniti per la mancata confessione di Françoise in punto di morte e, non contenti, si macchieranno anche del furto del denaro messo da parte dal vecchio padre che finiranno pure per cacciare di casa. Solo e senza un posto dove andare, non voluto da tutti i figli, di cui per altro non si fida più, Fouan morirà stramazzando sui campi a cui ha dedicato tutto il suo amore e la sua vita.
La morte di Fouan è la principale differenza rispetto alla storia originale dove trovava la morte in un incendio appiccato dal figlio. La brutalità e la cattiveria di questa scena sono sostituite da un finale che pone per certi versi un attaccamento morboso alla terra come unico elemento naturale capace di dare esattamente quanto gli è stato dato. Se nelle vicende familiari e della vita quotidiana si può incappare in brutture e non riconoscimento dei sacrifici fatti, ecco invece una terra che, in una visione decisamente idilliaca, non entra nelle dispute degli uomini ed è per questo una sorta di ancora di salvezza. Preso atto di questo Fouan inizierà a correre spasmodicamente per i campi in cerca di salvezza e questa sua ricerca folle viene alternata con la scena del risveglio del personaggio di Cognette (Jeanne Grumbach), una donna forte e libera da qualsiasi peso della vita che si affaccia alla finestra serena in vista di un nuovo giorno.
I personaggi della vicenda sono tutti molto interessanti e caratterizzati nonostante il film non arrivi neanche a due ore totali. Abbiamo Hyacinthe detto Jésus-Christ e sua figlia La Trouille (Berthe Bovy) che vivono una vita fatta volontariamente di mezzucci senza mai mettere niente da parte. La loro cattiveria nei confronti del vecchio Fouan è pari alla loro giovialità e scaltrezza nel recuperare denaro per bere o mangiare. La famiglia Buteau è violenta e malvagia, e fa di tutto pur di accrescere il proprio denaro e patrimonio personale, arrivando a compiere i gesti più terribili senza mai prendersi le proprie responsabilità. Françoise e Jean, teorici protagonisti della storia, sono innamorati e attaccati al senso di giustizia ma finiscono per pagare duramente la loro bontà. Fouan è come Mazzarò, non riesce a lasciare la terra e quando deve abbandonarla perché costretto non riesce più a vivere una vita soddisfacente. La sua dedizione nei confronti dei campi è corrisposta probabilmente a una totale assenza di affetto nei confronti dei figli che lo hanno poi ripagato della stessa moneta nel momento del bisogno.
Se da una parte abbiamo la terra, i suoi frutti portano denaro ed è anche l’accumulazione dei beni un tema centrale del film. Fouan nasconde il proprio denaro in ogni casa in cui si ritrova ad andare (girerà le case dei figli in cerca di un inesistente benessere). Una volta perduto quello perderà per i figli qualsiasi interesse. Il denaro era anche il motivo per cui l’uomo aveva deciso di dare via le proprie terre, solo in cambio di una rendita mensile che i figli, però, non si premureranno di ripagargli effettivamente. Per ironia della sorte, per altro, unico momento in cui i figli mostreranno attaccamento nei confronti del vecchio padre sarà quando scopriranno della sua fortuna nascosta…
Come sempre uno degli elementi più interessanti nei film girati in esterna da Antoine sono i paesaggi e i dettagli. Non manca la solita cura documentaristica alla ricerca degli elementi tipiche delle località in cui gira come l’importanza del mercato o dei pascoli, dei giorni di raccolta e così via. La scena che più mi ha colpito è una finale in cui un vecchio pastore mostra a Fouan tutte le terre visibili da lì che un tempo erano di sua proprietà. Siamo nel 1921 ma la macchina da presa si muove a mostrare lo spazio sconfinato tanto che subito mi è venuto in mente un passo di Verga: “della roba ne possedeva fin dove arrivava la vista, ed egli aveva la vista lunga”. La Terre, per usare le parole di Prédal, è un film paesano e questa sua componente lo riporta ad essere strettamente collegato al naturalismo e al verismo nostrano. Eppure una sostanziale differenza tra Mazzarò e Fouan c’è ed è proprio nel denaro che al primo importava poco e nulla: “Del resto a lui non gliene importava del denaro; diceva che non era roba, e appena metteva insieme una certa somma, comprava subito un pezzo di terra”. Il Fouan di Antoine è mosso più da un desiderio di essere un tutt’uno con un elemento che è capace di gratificarlo mentre Fouan desidera solo accumulare “perché voleva arrivare ad avere della terra quanta ne ha il re, ed esser meglio del re, ché il re non può né venderla, né dire ch’è sua”.
André Antoine è un regista veramente interessante perché riesce, nelle mille declinazioni del suo naturalismo, a diversificarsi e rendersi sempre nuovo senza mai stufare. Nonostante questo si ritrovano degli elementi stilistici che lo rendono inconfondibile e amato dai suoi ammiratori. Se amate Antoine amerete La Terre perché con la sua crudeltà, la sua sofferenza e la sua dedizione per la ricerca visiva riesce a rendere più vera la storia che racconta.