Thaïs di Anton Giulio Bragaglia e Riccardo Cassano viene generalmente presentato come il film futurista italiano per eccellenza ma in effetti non si può parlare di reale appartenenza a questo genere. Sin dai primi minuti è evidente, infatti, che ci si aspetta un’esaltazione della velocità, il progresso e la rottura con gli elementi narrativi classici. Se ci si aspetta un film come il francese L’Inhumaine di Marcel L’Herbier (1924) si è destinati a rimanere delusi, perché l’elemento avanguardistico è presente quasi solamente negli interni, strettamente legati alle figure geometriche e all’art déco.
Thaïs (Thaïs Galitzy) è il nome d’arte di una contessa e autrice letteraria. La donna non ha una buona opinione degli uomini e ama sedurli per poi condurli nel baratro del desiderio non corrisposto. Questo suo gioco perverso finisce per avere ripercussioni anche sui suoi affetti: Bianca Stagno-Bellincioni (Ileana Leonidoff), sua cara amica, è innamorata del Conte di San Remo (Mario Parpagnoli), nuova vittima di Thaïs. Un giorno la giovane invita il conte a casa sua e Bianca, vedendolo, decide di sfogarsi andando a cavallo. Questi, però, si imbizzarrisce e Bianca cade mortalmente da cavallo. Colma di dolore per aver sostanzialmente provocato la morte dell’amica, Thaïs si suicida attivando la trappola mortale che aveva preparato in previsione di questo scopo.
Il finale è affascinante e straziante assieme: Thaïs cerca di cambiare idea e uscire dalla stanza di morte che ha creato ma senza successo. Si ritrova così a contare i minuti che la separano dall’inevitabile morte, lei che ha passato una vita a giocare con quella degli altri. Thaïs è un’eroina decadente, un personaggio molto dannunziano. Lei è una donna tentatrice, perversa e crudele, il cui unico desiderio è divertirsi alle spalle degli uomini inetti che la circondano. L’unico uomo che stima, pur trattandolo male, è Oscar (Augusto Bandini), l’unico che “ha il buon gusto di non insistere mai”. Egli è però un bambinone, che sfoga le sue frustrazioni amorose con giochi puerili e ridicolaggini.
Thaïs ha da una parte un intreccio drammatico piuttosto convenzionale e in linea con altre opere del tempo, dall’altro ha piccoli colpi di genio e momenti visivamente riusciti. La scena finale della morte, ovviamente, è quella più paradigmatica con il gas che esce da una bocca inserita al centro di cerchi concentrici. La sua stanza/prigione mortale, munita di griglia e all’interno della quale Thaïs si mette esattamente al centro, ha un’incredibile profondità grazie all’inserimento di una serie di figure rettangolari inscritti uno dentro l’altro.
La versione presentata durante il Cinema Ritrovato permette finalmente di vedere il film in una condizione decente. Su internet è infatti reperibile una copia in qualità infima presa da quella del CSC. Essa aveva il primo rullo rovinato che è stato recuperato, pur se in versione in bianco e nero, grazie a una copia effettuata da Henri Langlois.
Il film ha una particolarità. L’amica della protagonista si chiama Bianca Stagno-Bellincioni, che era il nome di una vera attrice, di origine ungherese, nota per la sua collaborazione con Ugo Falena e emma Bellincioni. Difficile capire il perché di questa scelta, se si trattava di una parodia o cosa, ma la scelta è decisamente curiosa.
Thaïs non è certamente il film futurista che ci si aspetta di vedere, ma questo non significa che manchi di elementi di interesse. Alcune scelte narrative così come il finale, uno dei più memorabili e particolari, ne fanno una visione necessaria per chi si approccia al cinema legato alle avanguardie artistiche.
Buongiorno,
grazie per la recensione.
Vi chiederei il favore però di precisare il lavoro fatto sul film. il restauro è stato fatto dalla Cinémathèque francaise con la collaborazione del CSC – Cineteca Nazionale (ho seguito direttamente io il progetto) a partire dall’unico materiale d’epoca che risulta ad oggi conservato, una copia nitrato imbibita con titolo “Les possédées” e didascalie francesi, purtroppo molto rovinata, per cui è stato necessario ricorrere al controtipo bianco e nero stampato nel 1969 da Langlois, digitalizzando le parti corrispondenti alle mancanze della copia nitrato (soltanto i rulli 1/4 e 4/4), e ricostruendo la continuità originaria,, senza tentare di restituire per congettura le colorazioni delle parti mancanti.
In ogni caso, tutto ciò che ha circolato prima, in pellicola, video o file, deriva dalla copia d’epoca della Cinématèque Francaise e prima di questo progetto il CSC – Cineteca Nazionale non aveva alcun materiale se non un video di consultazione ottenuto dalla Cinémathèque negli anni Novanta.
Grazie comunque il vostro lavoro di diffusione, che seguo sempre con interesse e spero che avremo, prima o poi, occasione per conoscerci di persona.
Saluti cordiali
Maria Assunta Pimpinelli
Grazie mille per il commento! Chiedo scusa se è stato approvato solo ora, purtroppo ero impossibilitato in questi giorni a controllare il pannello di amministrazione.