Son passati 10 lunghi anni da quando in un pub romano un amico di amici, conosciuta la mia passione per il cinema anni ’30 e ’40, mi chiedeva se avessi mai visto dei film muti. Facendo rapidamente mente locale mi ero reso conto che effettivamente, a parte i grandi classici come Nosferatu, Metropolis e pochi altri, non è che ne avessi visti molti. Con gli occhi che gli brillavano mi raccontò allora la storia di un regista e di un film maledetto che doveva durare inizialmente 10 ore per poi essere tagliato e ritagliato fino ad arrivare a poco più di un’ora e mezza. Nonostante questo, mi assicurava, quello che era rimasto era un capolavoro e dovevo assolutamente vederlo. Lo ammetto, sono sempre stato attratto dai personaggi e dalle storie di questo tipo. Uno dei miei cantanti preferiti è Shane MacGowan, ormai ex sdentato leader dei Pogues, che ha passato la vita tra gli eccessi ma che ha saputo scrivere versi incredibili e unire la cultura punk a quella della tradizione irlandese. Leggenda narra che perse gli incisivi mordendo un LP dei Beach Boys mentre era sotto acidi. Ecco, sono queste le storie che mi affascinano e che mi portano a volte ad amare opere ed autori anche al di là del loro effettivo valore artistico. Erich Von Stroheim aveva tutto per diventare il mio nuovo idolo: uomo affascinante giunto negli Stati Uniti dopo aver abbandonato la sua famiglia di origine e aver tagliato completamente i ponti con essa, che si era saputo dare un’aurea di nobiltà con l’aggiunta di “von”, che era riuscito a sfruttare il suo aspetto austero per dare vita a storie e personaggi capaci di qualunque efferatezza. Regista durissimo, di cui si racconta la cura infinitesimale per il dettaglio, capace di portare gli attori a un tale livello di stress da fargli a volte lasciare il palco. A tal proposito ho letto di recente una, a mio avviso ingenerosa, testimonianza di Louise Brooks dove la celebre attrice dice che von Stroheim mortificava i suoi attori perché sostanzialmente non sapeva come farli recitare e che mai avrebbe recitato con registi come lui (Objectif n. 27 del 1964 pp. 5-6).
Comunque, il racconto mi aveva stregato e tornato a casa dalla serata non aspettai neanche il giorno dopo e iniziai a cercare informazioni e un modo per visionare il film. Credo di aver visto una versione con didascalie in italiano sul sito di Arcoiris che riprendeva l’edizione di Prima Immagine e che potete ancora recuperare se avete voglia. Nonostante la qualità non eccelsa rimasi assolutamente colpito dal film e iniziai a capire per la prima volta che forse quel mondo poteva fare per me. Tra le varie congiunzioni astrali che hanno poi portato alla nascita di questo sito, all’epoca mi trovavo in un periodo di forte stress dovuto alla fine della triennale (piuttosto burrascosa e presa all’ultimo secondo) e all’immediato inizio della magistrale con studio matto e disperato condito di anche 8/9 esami a sessione. Alla fine della giornata ero così stanco che da una parte avevo assoluto bisogno di rilassarmi ma dall’altra non sopportavo minimamente l’idea di sentire delle persone parlare. Ecco allora che il cinema muto appena “scoperto” mi veniva in soccorso ed iniziai così la mia ricerca compulsiva di informazioni su film, registi e attori da scoprire poi nelle nottate successive. I film si accavallavano e con gli occhi dell’appassionato alle prime armi avevo la fortuna di poter godere di quelle storie con entusiasmo tralasciando, a volte, anche i tanti difetti che in successive nuove visioni mi sono saltate agli occhi. Oltre a questo avevo l’ulteriore fortuna di poter iniziare dai grandi classici, piccoli e grandi capolavori che superato l’ostacolo della mancanza del sonoro colpiscono inevitabilmente tutti gli amanti del cinema. Il 2011 era ancora l’epoca fiorente dei blog e così, quando presi la decisione di iniziare a scrivere qualcosa con regolarità per esercitarmi in vista della scrittura della tesi magistrale, la scelta cadde su questa tipologia di spazio virtuale. Lo ammetto candidamente, se in quel periodo fossi stato in fissa con la cucina avrei parlato di cucina, così come di qualunque altra cosa, eppure per un caso fortuito la scelta cadde sul cinema muto. La prima recensione che scrissi fu sull’ultimo film che avevo visto, ovvero The Man Who Laughs di Paul Leni (1928). Decisi dunque di chiamare il sito Senza Voce e poi Muto Sorriso, che restò a lungo il nickname con cui pubblicavo, per poi passare ad “E Muto Fu” che tutti conoscete su indicazioni della mia ragazza dell’epoca. Mi piaceva che avesse una sorta di rimando biblico, nella mia mente era qualcosa del tipo “e venne il cinema e muto fu!”. Ovviamente non avevo la minima idea di quanto a lungo sarebbe durata questa avventura, doveva per l’appunto essere solo un’occasione per non smettere di scrivere tra la tesi triennale e quella magistrale e poi tra la magistrale e il successivo dottorato di ricerca.
Perché tutto questo pistolotto introduttivo? Questa è un’altra di quelle storie che chi segue questo sito conoscerà sicuramente. Quando aprii il sito, iniziai anche a creare le bozze dei film che avevo visto e di cui dovevo parlare, come fossero dei post it virtuali. Essendo un neofita di molti di quei film non ne ho parlato subito perché sentivo una sorta di timore reverenziale e, quando l’ho fatto, è stato per occasioni specifiche come proiezioni con musiche particolari ma ammetto di non essere molto soddisfatto di molti di essi. Alcuni son riuscito a sbolognarli a qualche amico e collaboratore (ogni riferimento ad Erasmo è puramente casuale). Di tutte quelle bozze iniziali solo una è sopravvissuta fino ad oggi e non poteva che essere il decimo anniversario a rompere questo tabù! Ovviamente si tratta di Greed di Erich Von Stroheim (1924) e oggi ho scelto finalmente di rompere sia il timore reverenziale che il legame affettivo che mi lega al film per poterne scrivere e purtroppo per voi lo farò molto nel dettaglio. Non ci resta allora che iniziare:
Von Stroheim era un uomo ossessionato dal realismo, da ciò che è vero, e ritrova in McTegue di Frank Norris molti di questi elementi: la crudeltà dell’America di fine Ottocento in una società che deve ancora consolidarsi del tutto. Era la prima volta che il regista dirigeva un film su soggetto non scritto da lui ma la storia lo aveva decisamente affascinato. In questo periodo Von Stroheim si avvicina un po’ al naturalismo e, come Andrè Antoine, cerca di girare fuori dagli studi cinematografici preferendo riprendere nei luoghi reali dove doveva svolgersi la scena. Il suo però è un tentativo di superare il naturalismo inserendo l’oggettivo all’interno di un disegno più ampio che giustifica la sua esistenza. La scelta di girare fuori dagli studios ovviamente fa levitare i costi ma questa decisione rappresenta per Stroheim un’esigenza espressiva su cui non sono possibili mediazioni. Il realismo è ricercato dall’autore anche attraverso la sgradevolezza dei suoi personaggi e la loro natura viene sottolineata attraverso primi piani, sguardi, l’attenzione alle mani e ai piccoli dettagli che svelano piano piano allo spettatore chi hanno di fronte. La scelta di rappresentare un romanzo di Frank Norris non deve stupire proprio perché l’autore era uno dei maggiori esponenti, insieme a Theodor Dreiser e Stephen Crane, della letteratura naturalista statunitense e i suoi romanzi erano dunque intrisi di quel “reale” che Stroheim andava cercando disperatamente di rappresentare.
La lavorazione del film è condita di informazioni che paiono quasi mitiche: si narra che Erich Von Stroheim volesse seguire in maniera pedissequa il libro, così le riprese durarono 9 mesi e i costi lievitarono fino a 470.000$, cifra assurda per l’epoca. Secondo alcuni, inoltre, la prima versione avrebbe raggiunto addirittura 15 o 20 ore. Secondo informazioni più certe, però, il primo montaggio, di cui si occupò per 6 mesi lo stesso Stroheim, era lungo 42 rulli per una durata di circa 10 ore. Lo stesso regista, che voleva proporre il film diviso in due parti, capì però da solo che era necessario tagliare qualcosa e arrivò dunque a circa 24 rulli di lunghezza. A questo punto accadde qualcosa che rese il futuro del film tristimente nefasto. La Goldwyn company diventa la Metro Goldwyn Mayer (MGM) e alla direzione generale viene messo Irving Thalberg che aveva un conto aperto con von Stroheim. Era stato lui, infatti, a toglierlo dalla regia di Merry-Go-Round mettendo Rupert Julian e sancendo il divorzio tra il regista e la Universal. A questo si aggiunse, parrebbe, anche l’insofferenza di Louis B. Meyer. Thalberg impose che il film avesse una lunghezza “adatta ad essere commercializzabile” e Stroheim incaricò l’amico Rex Ingram del triste compito. La lunghezza era ora di 18 rulli, ma non bastava e fu June Mathis a fare un ulteriore taglio per volere di Thalberg e portare a 10 rulli la lunghezza del film. Von Stroheim dirà che, con la creazione della MGM, si era passati dallo slogan “contano opere e autore” a “il produttore prima di tutto” e a farne le spese fu purtroppo Greed.
Cosa è stato tagliato? Mancano delle parti che riguardano i personaggi principali, come le scene riguardanti la vita giovanile del protagonista e in particolare quel che riguarda il suo rapporto con il padre, ma soprattutto sono state completamente eliminate le due storie parallele (di cui trovate immagini di scena in basso): la prima parlava di Zerkow, un rigattiere polacco, e del suo amore per Maria Macapa, donna che si occupa delle pulizie nello stabile dove vive McTeague. La passione si tramuta in odio quando il rigattiere scopre che la donna gli ha sempre mentito quando gli parlava di una presunta vita di agi che aveva vissuto prima di cadere in disgrazia. In particolare ricordava spesso di un presunto servizio in oro, in realtà mai esistito, nascosto all’interno di un luogo segreto. Il risentimento cresce a tal punto che Zerkow uccide Maria (il suo corpo viene trovano da Trina) e poi si annega. Zerkow altri non era che il nostro Cesare Gravina e così diceva lo stesso Von Stroheim a proposito della sua prestazione:
<<Gravina lavorò senza risparmio per nove mesi, poiché aveva una delle parti più importanti nel cosiddetto “intreccio secondario”. Si prese una polmonite doppia quando dovette buttarsi per due notti di seguito nelle acque gelate della Baia di San Francisco mentre si girava una scena; ma alla fine, dopo che June Mathis, e successivamente un montatore, ebbero completamente eliminato l’intreccio secondario non rimase in tutto il film una sola delle scene di Gravina! Di Dale Fuller, che recitava con lui, sono rimaste solo due o tre immagini, Per la carriera di questi due bravissimi attori fu una tragedia>>
L’altra storia, era incentrata sulla vita di due anziani, Grannis e Miss Baker (Frank Hayes e Fanny Midgley), che solo nel finale riescono a instaurare un rapporto affettuoso e positivo, a dimostrazione che nella negatività del racconto vi era comunque spazio per l’amore e i buoni sentimenti.
Visti i tagli fitti, si rese necessaria l’aggiunta di molte didascalie inizialmente non previste cosa che, a quanto apre, non venne particolarmente gradita e in generale il film fu tutt’altro che un successo e non ricoprì le ingenti spese sostenute. Stroheim stesso racconta in una lettera a Peter Noble che pur di rientrare un minimo nelle spese, ma forse anche per screzio, le parti tagliate furono bruciato per recuperare pochi spiccioli dal nitrato d’argento. Riguardo questa vicenda vi racconto un aneddoto personale: il mio legame con questo film è talmente forte che una volta ho sognato di essere in grado di viaggiare nel tempo (la fantascienza lo sapete è un altro dei miei pallini) e di andare indietro e pagare alla produzione le parti tagliate per poi ricomporre il film originale e mostrarlo a un von Stroheim in letto di morte con la promessa di restaurare il film e proiettarlo finalmente ai giorni nostri. Questo avvenne dopo che avevo letto la testimonianza di Lotte Eisner che raccontava di essere rimasta sconvolta quando, vedendo assieme ad altri Greed con Stroheim, lo videro distrutto, con le lacrime che gli colavano sulle gote mentre mormorava: “non è possibile, è un delitto!”. Von Stroheim avrebbe dunque raccontato loro tutte le scene mancanti e la Eisner si sofferma sul rimpianto di non aver avuto a portata di mano un registratore per poter poi riascoltare quanto il regista stava raccontando. Negli anni si sono in realtà moltiplicati i mitici racconti di possibili versioni più o meno complete del film, come a dire che forse quel girato non era stato veramente tutto distrutto ma che in qualche modo si fosse in parte conservato. Niente però è mai affiorato e attualmente è uno di quei film su cui gli archivisti e appassionati sperano un giorno di mettere le mani. Del resto la versione con le ricostruzioni, piena di didascalie e foto di scena (gran parte erano state pubblicate da Herman G. Weinberg nel 1972), è a mio modo di vedere un abominio.
Passiamo finalmente alla trama principale:
John McTeague (Gibson Gowland) è un burbero dentista senza licenza che, grazie ai risparmi della madre, è riuscito ad aprirsi un piccolo studio a San Francisco. Suo amico di una vita è Marcus Schouler (Jean Hersholt), che darà per certi versi involontariamente inizio al dramma del film. Un giorno porta infatti la fidanzata Trina Sieppe (ZaSu Pitts) dall’amico John perché lei, cadendo da un’altalena, si era rotta parzialmente un dente. L’operazione di ricostruzione dura diversi giorni e McTeague finisce per innamorarsi di Trina arrivando persino a rubarle in bacio mentre si trova priva di sensi sulla sedia operatoria a causa dell’anestesia. Quando condivide questi sentimenti con l’amico Marcus, invece di vedersi cacciato e ripreso, con sua grande sorpresa lo trova disposto a farsi da parte e fare in modo che John sposi Trina. Ma a rovinare le cose ci pensa la dea bendata: Trina, quasi controvoglia, aveva infatti acquistato un biglietto della lotteria che risulta vincente di 5000$. Questo provoca di fatto la rottura dell’amicizia tra John e Marcus, che non riesce a credere di aver perduto, oltre alla fidanzata, anche una simile fortuna. La situazione tra i due degenera: una volta dopo aver bevuto troppo Marcus arriva a lanciare un coltello contro l’ex amico lisciandolo di qualche centimetro. In una delle scene tagliate John chiede a Trina di dare parte dei soldi a Marcus ma lei sostiene che quei soldi sono suoi. Trina e John si sposano e la notte di nozze quest’ultimo forza la moglie ad avere un rapporto.
Passano tre anni e troviamo una Trina sempre più presa dal male dell’avarizia: asserisce che i suoi 5000$ non dovranno mai essere toccati e si rifiuta di pagare anche la minima spesa lasciando tutte le spese vive al marito. In una delle scene tagliate i due sposi litigano perché John decide di prendere un nuovo appartamento in affitto nonostante il parere contrario della moglie. L’idea di dover spender qualche soldo porta Trina verso la definitiva metamorfosi e rapacità di denaro. Nelle scene superstiti la ritroviamo lucidare e contare compulsivamente i suoi soldi per poi nasconderli per privarli alla vista del marito. Sta per succedere però qualcosa di terribile: Marcus un giorno viene a far visita alla coppia stranamente festoso e annuncia che partirà presto per lavorare nel Ranch di un amico. Qualche giorno dopo McTeague riceve una lettera che lo intima di chiudere l’attività non avendo regolare licenza per operare. L’amico ha tradito e ora tutto inizia a crollare intorno alle vite dei nostri personaggi. John inizia a chiedere soldi alla moglie che glieli nega con sempre maggiore veemenza e anzi non perde occasione per pretendere i pochi guadagni che lui porta a casa. La relazione tra i due è ormai ai minimi storici: McTeague si chiude nell’alcolismo ed inizia ad essere violento. Ma non è finita perché un giorno l’uomo, stanco dell’avidità della moglie, decide di portarsi via gli uccellini e sparire per poi rubarle successivamente anche i soldi che lei era riuscita a avidamente a conservare. Trina inizia a lavorare in una scuola elementare come custode e nel frattempo chiede un ingente prestito per riavere indietro i soldi perduti. Si tratta di circa 500$ che l’uomo consuma nel giro di poco tempo. Una sera MacTeague vede in un cassonetto dell’immondizia la foto del matrimonio e capendo che dentro quella casa c’era Trina bussa e le chiede da mangiare venendo però trattato in malo modo. Il giorno di Natale John torna da Trina e pretende di avere i 5000$ che ha ottenuto in prestito. Al suo rifiuto la massacra di botte e le prende il denaro. Per il delitto John viene ricercato in tutto il paese e ironia vuole che uno dei manifesti segnaletici arrivi proprio nel luogo dove l’ex amico Marcus lavora come rancher. Ancora pieno di odio Marcus decide allora di unirsi alla spedizione verso la Death Valley dove si crede sia andato McTeague. Dopo diversi giorni di cammino e inseguimento la spedizione si scioglie lasciando Marcus l’unico voglioso di buttarsi nella folle impresa di inseguire, quasi senza acqua, il nemico nella terribile Death Valley. Dopo interminabili ore di cammino il ragazzo, privo ormai di acqua e di cavalcatura, raggiunge finalmente John. Beffa delle beffe il cavallo di John, su cui si trovano acqua e denaro, fugge spaventato alla sua vista. Per fermarlo l’uomo gli spara colpendo però anche la borraccia e perdendo così ogni speranza di sopravvivenza. Nasce una lite furibonda che vede vincere McTeague…all’apparenza. Marcus lo ha infatti ammanettato durante lo scontro e all’uomo non resta che aspettare tristemente la morte in mezzo al deserto dopo aver liberato, con le mani gronde di sangue, il suo amato uccellino.
I personaggi del film si muovono all’interno di una linea di attrazione e ripulsione. Nella scena iniziale McTeague inizia attratto dall’uccellino ma nello stesso tempo butta giù nel fiume l’altro minatore reo di avergli fatto malevolmente cadere dalle mani l’animaletto. Ma questa dialettica amore-odio si ritrova anche nei confronti di uno stesso personaggio: McTeague è attratto da Trina per poi odiarla nel momento in cui la rapacità entra nelle loro vite. Trina stessa, prima attratta dall’uomo, poi inizia ad allontanarsene. Lei tramuterà l’amore per l’uomo in quello per il denaro vinto e per la bramosia rinuncerà anche alla sua giovinezza e bellezza deformandosi ed emaciandosi sempre più. Von Stroheim, tramite piccoli tic e gesti ricorrenti come quello del dito in bocca, riesce a tratteggiare perfettamente questo mutamento nella giovane. Il rapporto morboso di Trina per il denaro è rappresentato in una delle scene finali della sua vicenda quando poco prima che McTeague bussi alla sua finestra lei prima conta e lustra i suoi soldi per poi spogliarsi e dormirci nuda insieme quasi a significare che ormai questa passione ha assunto anche un valore erotico e sostitutivo dell’affetto umano.
Nella vicenda originale veniva chiaramente esplicitato come Trina non volesse sposare McTeague: in uno dei frammenti ricostruiti, lei dichiara al ragazzo di non amarlo sufficientemente da dare il via alle nozze. Eppure gli eventi legati alla lotteria spingono tutti verso quella direzione. Finito il matrimonio ecco Trina ritrovarsi disperata a perdere, uno dopo l’altro, i suoi cari che si allontanano dalla casa. Lei è colta dalla disperazione e corre dalla madre che è ormai sulle scale verso l’uscita. La madre non capisce o forse non può farlo e così Trina è costretta a tornare dal marito che la aspetta ansioso di consumare. Vedendolo distratto dai suoi amati uccelli, la giovane prova allora ad andare a letto senza essere sentita ma non ci riesce. McTeague forza allora la giovane ad avere il rapporto non voluto. Non si tratta di una violenza solo fisica ma soprattutto psicologica: John bacia forzatamente Trina che poi crolla in lacrime sul letto consapevole di quanto sta per accadere. La camera arretra e il novello sposo chiude le tende per lasciar intendere cosa sta per succedere ma senza mostrarlo. Sempre nell’ambito delle simbologie Trina, che con le mani lustra e ammira il suo denaro, arriva a perderne quasi del tutto l’uso. Ancora, le mani di McTeague saranno completamente ricoperte di sangue dopo che avrà ucciso la moglie per il denaro e pochi secondi dopo guarderà il cielo che rapidamente si sta rannuvolando e minaccia tempesta.
Tantissime le scene iconiche a partire da quelle dedicate alla bramosia di denaro con le mani, quasi scheletriche, che si muovono nell’oro. Ma come non dimenticare la scena del primo bacio rubato? Trina, coperta in volto e con aspetto quasi monacale, viene violata con un bacio mentre è priva di coscienza a causa dell’etere.
Greed è anche ricchissimo di presagi, un elemento che è assolutamente cardinale nella produzione del regista: quando Trina e McTeague si baciano per la prima volta (in maniera consensuale) questo accade appena dopo lo scoppio di un terribile temporale che vuole essere un preludio al destino tempestoso che la loro relazione avrà di lì a breve. Ancora presagi infausti: durante il matrimonio, fuori dalla finestra, c’è una processione funebre. Quando Marcus viene a far visita ai coniugi per rivelare che lavorerà in un ranch, assieme a lui entra un gatto che tenta poi di mangiare gli uccellini in gabbia, ulteriore simbolo della relazione dei due. Si tratta di un preludio al tradimento dell’uomo nei confronti dei due, che presto riceveranno la famosa lettera che intima John di chiudere la sua attività illecita di dentista.
Gli attori scelti non erano delle star ma erano dei bravissimi interpreti. Von Stroheim non amava circondarsi di divi, era lui, citando Peter Noble, a creare divi. Eppure nonostante le interpretazioni magistrali Gowland e ZaSu Pitts non divennero delle star.
Ancora leggenda: le prove a cui il regista aveva spinto la troupe erano completamente proibitive. Lo abbiamo visto, Gravina si prese una doppia polmonite per girare le ultime scene della sua vicenda. Pensate al finale di Greed che è ambientato nella Death Valley e indovinate: secondo voi, von Stroheim dove volle girare quelle scene? Esatto, proprio nella terribile Valle della Morte dove la temperatura si aggirava tra i 32 i 50 gradi. Jean Hersholt, intervistato da Peter Noble, ricorda quei momenti e in particolare la scena della zuffa finale:
<<Gowland e io barcollavamo sulle zolle aride; lo agguantai e scaraventai a terra. Lottammo presi da una vera e propria sete di sangue, ci rotolammo e picchiammo con tutte le nostre forze. Stroheim gridava: “forza, forza! Odiatevi come odiate me!”. Questo era il grande regista. Per amore di realismo, riusciva davvero a farsi detestare>>
Oggi il sito compie dieci anni, ho finalmente chiuso il cerchio e pubblicato questa recensione e una foto originale di Von Stroheim, copia unica di cui ho il negativo, mi guarda dalla parete sopra il mio schermo. Chissà se dieci anni fa pensavo anche solo minimamente che avrei raggiunto un traguardo come questo, del resto 10 anni sono quasi un terzo della mia vita! Ad oggi sul sito sono state fatte quasi 600 recensioni e, nonostante i miei problemi di salute passati, il sito procede con le pubblicazioni a ritmo sostenuto. La cosa più bella però è il fatto di aver incontrato tanti amici grazie a E Muto Fu tra collaboratori e lettori. Ringrazio in particolare (in rigoroso ordine alfabetico), Alessia, Camilla, Danilo, Enrico, Erasmo, Esse, Francesco, Irma, Jacopo e Michele per avermi aiutato con i loro contributi e/o con le visioni insieme ad andare avanti con perseveranza anche quando la salute o la voglia mancavano. Ovviamente grazie a tutti voi lettori senza i quali questo spazio forse non sarebbe durato così a lungo.
Buon cinema muto a tutti!
Bibliografia consultata:
– Buache F., Erich von Stroheim, Paris, 1972.
– Bruno E., Espressione e ragione in Stroheim, Torino, 2000.
– Cappabianca A., Erich Von Stroheim, Città di Castello, 1979.
– Comuzio E., Erich von Stroheim: fasto e decadenza di un geniale, sfrenato e anticonformista maestro della storia del cinema, Roma, 1998.
– Finler J.W., Greed: a film, New York, 1972.
– Finler J.W., Stroheim, California, 1968.
– Lennig A., Stroheim, Kentucky, 2000.
– Marion D., Amengual B., Stroheim, Études cinématographiques N°48-50, 1966.
– Noble P., Fuggiasco da Hollywood Vita e opere di E. von Stroheim, Milano, 1964.
– Paganelli G., Erich von Storheim: lo sguardo e l’iperbole, Città di Castello, 2000.
– Quinn Curtiss T., Von Stroheim, New York, 1971.
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