L’auberge Rouge – Jean Epstein (1923)

Con il Cinema Ritrovato torna anche il mio amatissimo Jean Epstein con Auberge Rouge, un film in costume che unisce al dramma elementi esoterici e misteriosi. Punto di partenza è l’omonima opera di Honoré de Balzac (1831) ma Epstein riesce come al solito a dare il suo tocco studiando il modo di rendere attraverso una recitazione lenta e cadenzata il ritmo narrativo dell’autore.

Un banchiere sta dando una cena nella propria abitazione per festeggiare la venuta del ricco commerciante Herman (Robert Tourneur). Durante il pasto quest’ultimo inizia un inquietante avvenimento accaduto qualche tempo prima. Prosper Magnan (Léon Mathot) e Jean-Frédéric Taillefer (Jean-David Evremond) erano giunti sotto il diluvio ad una locanda. Nonostante le ritrosie del locandiere (Pierre Hot), i due riescono a trovare riparo e fanno la conoscenza con un gioielliere olandese (Thomy Bourdelle). Questi fa vedere loro i diamanti che porta con sé senza sapere che questo avrebbe sancito la sua fine. Il desiderio di possedere quella ricchezza spinge Prosper a tentare l’omicidio, ma si ravvede poco prima di compiere il gesto estremo. Sarà Jean-Frédéric ad eseguirlo lasciando per altro il suo compagno come unico accusato dell’omicidio. Prima di subire l’esecuzione per un delitto che non ha commesso, l’uomo chiede alla figlia del locandiere (Gina Manès), con cui aveva subito trovato un legame, di dare alla madre la sua ultima lettera. La lettera era stata poi data da lei proprio ad Herman. Come spesso capita certe storie finiscono per colpire chi le ascolta, e il giovane Andrè (Jaque Christiany) si rende conto che la vicenda ha scosso fin troppo il signor Taillefer. Quando quest’ultimo capisce che la sua storia è venuta a galla, si accascia a terra morto.

Tra i vari film di Epstein questo è probabilmente uno dei meno studiati, forse perché lo stesso autore non lo amava particolarmente. Eppure ci sono degli elementi interessanti legati a quel tentativo che dicevano di dare da una parte voce allo stile di Balzac, ma dall’altra di rompere la narrazione esplicitando attraverso le immagini il dramma psicologico dei personaggi. La scena che più colpisce è certamente quella della notte tempestosa dell’omicidio, dove con inquadrature ravvicinate che ne esaltano la deformazione dovuta al dramma interiore, il personaggio di Prosper assume tratti grotteschi e inquietanti. Come in alcuni film espressionisti e surreali, molto interessante è anche il modo in cui il volto della cartomante diventa un teschio presagendo la morte del giovane.

Se l’Auberge Rouge non è certamente uno dei film più assimilabili al cinema di Epstein, rimane comunque un’opera interessante all’interno della sua filmografia anche per mostrare quanto il regista fosse in grado di mettersi alla prova con opere di tipo diverso. Il punto di vista del regista rispetto all’opera di Balzac non è banale, è ragionata e personale a dispetto di una vicenda piuttosto canonica e poco sviluppata.

Rispondi