Dopo l’edizione 2020 completamente online ecco tornare Le Giornate del Cinema Muto di Pordenone con un’edizione ibrida in presenza e in streaming. Come ben sapete i miei impegni lavorativi non mi permettono di seguire in presenza le proiezioni per cui ci concentreremo, giorno dopo giorno, con le recensioni dei film proiettati su mymovies. Questa volta l’accredito (acquistabile qui) per la versione online sale a 29,99, prezzo comunque più che ottimo contando il numero di film proiettati. Alcuni dei titoli in programma per la versione in presenza sono stati già recensiti sul sito o li ho già visti quindi è possibile un’integrazione nei giorni immediatamente successivi alla fine delle Giornate. Vi invito, come al solito, a seguire la sezione apposita dedicata all’edizione specifica del festival o la pagina facebook del sito. Continua a leggere
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Quel giorno smise di ridere: la mistificazione di Virginia Rappe nella Hollywood delle origini
Esattamente cent’anni fa Hollywood fu travolta dal suo primo grande scandalo: il comico più famoso del tempo, Roscoe “Fatty” Arbuckle, fu incriminato per lo stupro dell’attrice Virginia Rappe, che morì pochi giorni dopo per le lesioni riportate. In seguito a questa tragedia le major furono costrette ad adottare il famigerato “Codice Hays” per ripulire la propria immagine: in tal modo le produzioni hollywoodiane furono obbligate a pesanti censure per decenni.
L’accaduto
Prima di andare avanti, ricordiamo i fatti: il 5 settembre 1921 migliaia di americani festeggiavano il “Labour Day” e tra questi c’era anche “Fatty” Arbuckle. La sua celebrità era all’apice: solo Charlie Chaplin gli stava alla pari e aveva appena siglato con la Paramount un contratto da un milione di dollari l’anno, una cifra mai raggiunta prima da Continua a leggere
1914-1920: i film muti di Mimì Aylmer
Quasi certamente il nome di Mimì Aylmer suona sconosciuto ai più. Nome d’arte di Eugenia Spadoni (Roma, 29 maggio 1896 – Bologna, 20 ottobre 1992), attrice prevalentemente di teatro, ma anche di cinema muto e sonoro, scrittrice, cantante e musicista, di Mimì Aylmer abbiamo ben poche fonti, ma da queste possiamo raccogliere informazioni molto importanti che ci fanno capire l’evoluzione di una diva minore nella personale carriera artistica dagli anni Dieci agli anni Cinquanta. Sebbene ricopra ruoli marginali o di spalla nelle pellicole che ci sono giunte, Mimì Aylmer passa dalla commedia al dramma con estrema disinvoltura, complice il fatto che ad Aylmer, del cinema, non importi poi molto. Amante del teatro e dei palchi, prova un profondo fastidio nei confronti della macchina da presa, della ripetizione delle scene e del mezzo comunicativo così diverso da quello teatrale. In poche parole, trova impieghi nel cinema solo per ragioni economiche, soprattutto in mancanza di finanziamenti concreti (Aylmer attraversa e vive due guerre mondiali). Eppure ecco che troviamo Mimì Aylmer diretta da Amleto Palermi, Eleuterio Rodolfi e Ugo Falena nei muti, da Mario Camerini, Baldassarre Negroni e Nunzio Malasomma nei sonori, accompagnata da cast artistici di tutto rispetto. La storia del cinema parte proprio da pochi titoli che abbiamo da cui si possono trarre tantissime informazioni e curiosità, titoli nel nostro caso, naturalmente, muti. Tutti i film risultano irreperibili e sfortunatamente perduti. Continua a leggere
Cinema e cultura nel modernismo statunitense: Theda Bara e Louise Brooks parte 3 (di 3)
Si conclude l’articolo in tre parti con questa terza parte. Se volete recuperare le parti precedenti potete cliccare qui: parte 1 – parte 2.
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Capitolo 3. Charleston e disinibizione: Louise Brooks
Arriviamo finalmente al periodo del grande cambiamento culturale negli Stati Uniti d’America: gli anni Venti. Nel 1920 esce nelle sale Gli zaffiri di Kim, diretto da Alan Crosland. Si tratta del primo lungometraggio a ritrarre una nuova tipologia di donna che piano piano si stava affermando nello scenario socio-culturale degli Stati Uniti a cavallo tra la fine degli anni Dieci e l’avvento degli anni Venti. Come suggerisce il titolo originale della pellicola, la nuova donna viene definita flapper.[1] Cosa significa flapper? Il verbo to flap denota irrequietezza: agitare, agitarsi, colpire, battere, dondolare; addirittura volare via, to flap away.
In particolare, una vera flapper, sembra avere queste caratteristiche ben definite:
– Ballerina indipendente di charleston.
– Fumatrice, alla pari degli uomini.
– Dedita al consumo di alcool.
– Disinvoltura e libertà sessuale.
– Taglio di capelli “alla maschietta” o bob haircut.
– Superamento definitivo dei costumi e degli abiti ottocenteschi “proibitivi”.
La flapper girl, ispirata da una novella di Francis Scott Fitzgerald, This side of Paradise, si distingue per la gioventù, l’indipendenza, la capricciosa volubilità e fiducia nel futuro nonché per l’assenza delle tradizionali virtù femminili (quali la fedeltà) e, nel tipo fisico, per una figura snella e quasi da ragazzo sottolineata dal corto taglio di capelli acconciati a caschetto. Continua a leggere
Cinema e cultura nel modernismo statunitense: Theda Bara e Louise Brooks parte 2 (di 3)
Proseguiamo con la seconda parte dell’articolo scritto da Alessia Carcaterra. Se volete recuperare la prima parte potete cliccare qui.
Buona lettura!
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Capitolo 2. La ragazza di Cincinnati: Theda Bara
Gli anni Dieci furono gli anni in cui le donne si affermarono sul grande schermo. Fino a quel momento, salvo rare eccezioni, erano state figure di sfondo, e raramente i nomi delle attrici apparivano nei cartelli dei titoli di testa. Le cose iniziarono a cambiare quando il cinema iniziò a rispecchiare i mutamenti che stavano avvenendo nella società: ecco dunque apparire un lungo ciclo di serial di successo, nei quali, al centro dell’azione, non vi era più un maschio aitante (o almeno, non solo), ma una donna spregiudicata e intraprendente, dotata di senso dell’avventura. La più celebre, in principio, fu Pauline interpretata da Pearl White.[1] In parallelo, vi fu l’ascesa irrefrenabile della “fidanzatina d’America” Mary Pickford, con una galleria di personaggi ancora riconoscenti verso la narrativa ottocentesca e dickensiana, ravvivati però da una certa vivacità e simpatia: più avanti la fama della Pickford e le sue indubbie capacità da imprenditrice furono tali da costringere l’industria del cinema a riconsiderare il ruolo (anche contrattuale) della donna. Continua a leggere
Cinema e cultura nel modernismo statunitense: Theda Bara e Louise Brooks parte 1 (di 3)
Note di redazione: presentiamo qui in tre parti una ricerca fatta da Alessia Carcaterra e sistemata per la pubblicazione in questa sede da Esse.
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Introduzione
Negli Stati Uniti d’America, a partire dagli anni Dieci del Novecento, vi fu un proliferare di mode, stili e tendenze che si staccarono gradualmente e infine completamente dalla visione di fine Ottocento appartenente al periodo storico inglese dell’età vittoriana.
Un lavoro che può aiutare nella ricerca e in una più completa visione di questo rifiuto da parte dei modernisti e degli appartenenti alla corrente filosofico-estetica nei confronti dei predecessori europei di fine Ottocento, è il libro della saggista statunitense Ann Douglas Terrible Honesy: mongrel Manhattan in the 1920s. (1995). Con quest’ultimo, Douglas ha così completato il suo precedente lavoro The Feminization of American Culture (1977) in cui esplorava nel profondo l’etica moralista e sentimentale dell’età vittoriana.
In questo caso di studio verrà fatto un breve ed esaustivo percorso storico-culturale di come e in che modo lo sfogo della corrente del modernismo diede mostra di un atteggiamento aggressivo nei confronti del passato recente. In particolar modo, si è scelto di riferirsi all’arte del cinema, confrontando due attrici-dive dello nascente star-system statunitense:
Theda Bara (Cincinnati, 29 luglio 1885 – Los Angeles, 7 aprile 1955) e Louise Brooks (Cherryvale, 14 novembre 1906 – Rochester, 8 agosto 1985), inserendole nel contesto della “scossa adrenalinica modernista” della cultura occidentale, in primis statunitense. Continua a leggere